Mafia nigeriana a Torino, quanto è potente e come si combatte: intervista al capo della Squadra Mobile
Prostituzione, spaccio e accattonaggio con l’ombra dei riti voodoo. La mafia nigeriana è davvero così potente a Torino? E soprattutto, come si combatte? Ce lo spiega Marco Martino, primo dirigente della Squadra Mobile di Torino
TORINO - La mafia nigeriana è sempre più potente a Torino. Qualche settimana fa, in un nostro reportage, vi avevamo raccontato come il sodalizio criminale sia riuscito a penetrare nel territorio torinese gestendo diversi tipi di traffici illeciti nonostante la presenza di forze dell’ordine e ’Ndrangheta. Qual è realmente la situazione in città? E quali sono le misure adottate dalle forze dell’ordine per contrastare la mafia nigeriana? Lo abbiamo chiesto a Marco Martino, primo dirigente della Squadra Mobile di Torino. Tanti i temi affrontati tra analisi del fenomeno, soluzioni e un’idea spiazzante: una possibile arma per combattere la mafia straniera potrebbero essere poliziotti italiani ma di origine nigeriana.
Dottor Martino, buongiorno. La mafia nigeriana è davvero un sodalizio criminale emergente anche qui a Torino?
Come tutti i sodalizi criminali, anche la criminalità nigeriana nel recente passato ha avuto connotati di tipo mafioso. La Procura della Repubblica di Torino, che ha coordinato le indagini con carabinieri, guardia di finanza e polizia di stato, è già riuscita a muovere le contestazioni di associazioni di tipo mafioso a dei gruppi di giovani cultisti di matrice nigeriana. Siamo arrivati alle richieste di rinvio a giudizio con condanne dal 2009. Significa che per la città di Torino, è stata provata una stanziale presenza di soggetti criminali di determinate caratteristiche. I cultisti nigeriani controllavano un certo tipo di territorio.
Può delinearlo?
In alcuni casi erano piccole zone di vie cittadine dove riuscivano a esercitare il controllo su alcune attività illegali tipo spaccio e prostituzione. In altre zone si dedicavano a estorsioni a commercianti della loro stessa etnia. Le indagini hanno permesso di raccogliere fonti di prova molto solide e di contestare il 416 bis. I processi si fanno individuando i soggetti e attribuendo a loro un ruolo. Tutto questo deve essere accertato tramite fonti di prova, intercettazioni telefoniche e così via.
Accattonaggio, prostituzione, droga: quali sono i business su cui è fondato il potere della criminalità organizzata nigeriana?
Le confermo che la droga riveste una caratteristica di primaria importanza, cosi come lo sfruttamento della prostituzione. L'organizzazione mafiosa non si occupa di gestire la prostituta singola, ma ne gestisce i proventi che arrivano dalle maman (ex prostitute che ora coordinano le ragazze più giovani). Nel recente passato, si sono occupati di tratta, gestendo i soggetti che confluiscono nei flussi migratori dalla Libia. Ci sono persone che pur avendo perso il contatto con un referente in Italia, continuano a far parte dell'organizzazione criminale per paura di ripercussioni fisiche nel loro paese, nei confronti dei famigliari. Facciamo un esempio che riguarda le donne: chi arriva qui sa di dover rivolgersi a una determinata persona per ristabilire i contatti. Contattano un referente che poi li porta alla maman di turno, che si occupa di assegnarle una piazzola. Da lì inizia lo sfruttamento, bisogna raggiungere 25.000/30.000 euro per ripagare le spese della tratta. Confermo anche le minacce con riti voodoo.
Il fenomeno dell'accattonaggio è più visibile, soprattutto nella quotidianità
Sì è vero, se la percezione è aumentata significa che sono più presenti davanti a supermercati o strutture commerciali della città ma non significa che ogni straniero di colore fuori da un supermercato sia sfruttato dalla mafia nigeriana. In alcuni luoghi questo tipo di business illecito è appannaggio di criminali nigeriani. Le indagini ci consentiranno di dimostrare se e come questo triste fenomeno sia ancora attuale o meno.
Vale per la mafia nigeriana, vale per tutte le mafie straniere. Quanto è difficile punire i soggetti che ne fanno parte con l’articolo 416 bis? Quali sono le maggiori difficoltà?
Il 416 bis è un titolo di reato tipicamente italiano, che non trova delle parallele e similari posizioni normative nelle legislazioni straniere. Il legislatore ha evoluto la normativa, individuando anche mafie straniere, affinché ogni organizzazione criminale che si avvale dell'intimidazione del suo potere, del controllo di una porzione di territorio, dell’omertà e della paura deve essere punita più forte. C'è difficoltà sia per gli italiani, che per gli stranieri: dialetti stretti sono difficili da interpretare per la raccolta di fonti di prova. Un dialetto stretto calabrese, siciliano o pugliese a volte è altrettanto difficile da tradurre e trasformare in un documento valido nei gradi di giudizio. Non basta dire «si è comportato come mafioso». Il solo accesso alla fase di rinvio a giudizio, è una fase avanzatissima nel processo penale. Le fonti di prova devono consentire di arrivare a una fase di rinvio a giudizio, le assicuro che non è affatto semplice. Oggi l'uso delle fonti di prova, degli interpreti e della tecnologia ci aiutano ma la tecnologia viene utilizzata anche dai criminali: soggetti che usano tecnologie di pochissimi euro che rendono difficoltoso il lavoro delle forze dell'ordine.
Avete un’idea di che rapporti ed equilibri ci siano tra il sodalizio criminale organizzato nigeriano e le mafie «nostrane», mi viene in mente la ’Ndrangheta ad esempio.
Il controllo del territorio in certe aree del nord Italia non si può dire che sia solo appannaggio della mafia italiana, ecco perché c'è più penetrazione di sodalizi criminali stranieri. Ci sono ampissime zone in cui per fortuna non c'è il controllo della criminalità organizzata. Dove la mafia nostrana è forte, per le mafie straniere è più difficile espandersi. A Torino ad esempio i rumeni (la gang della Brigada), o i cinesi, o la mafia russa, più difficilmente riescono a penetrare sul territorio. Rimane il fatto che, nel 2018, i punti di contatto tra mafie ci sono in tutto il mondo ormai.
Ma la mafia nigeriana come ha fatto a diventare potente? Qual è la sua caratteristica?
Non è semplice, certamente i nigeriani hanno una grande distribuzione nel mondo. Sanno relazionarsi e insediarsi nei più disparati punti del pianeta, un po' come la 'Ndrangheta ha fatto con le emigrazioni nostrane. Noi dobbiamo ricordarci che siamo un paese di migranti, abbiamo esportato lavoro e criminali che in certe aree hanno fatto la fortuna, ma hanno portato anche problemi. I migranti nigeriani hanno esportato forme di criminalità, grazie alla facilità di mobilitazione. E’ difficile sradicarli perché sono molto impenetrabili. Se sono violenti? Certo che si, nella parola «mafia» la violenza è insita. Se non mettesse paura non sarebbe un fenomeno mafioso.
Si può dire che nell’ultimo periodo l’attenzione delle forze dell’ordine verso la mafia nigeriana sia aumentata?
L’attenzione non è aumentata, perché tutte le mafie vengono sottoposte al gran controllo ed è per questo che non dimentichiamo i «nostri» mafiosi: continuano a essere presenti e oggetto di accertamenti.
E’ possibile immaginare una Torino libera dalla mafia nigeriana, ma più in generale libera da qualsiasi tipo di mafia a prescindere dalla nazionalità?
E' una società in continua evoluzione, caratterizzata da fenomeni criminali in continuo cambiamento. Spero in una Torino più inclusiva e aggiornata dal punto di vista delle forze dell'ordine. Il segreto sarà nel mezzo. Magari con la polizia che possa fruire nella collaborazione di poliziotti italiani ma di origine straniera, che possano essere una chiave: quando i criminali italiani hanno conquistato le città americane come Chicago, New York, ecc, le forme di contrasto più efficace arrivarono da nuclei di polizia fatti da italo/americani di seconda generazione. Agenti che pensavano come loro, conoscevano i dialetti, gli usi e i costumi. Si immagini se avessimo 5/6 poliziotti cittadini italiani ma di origine nigeriana, potremmo svolgere il nostro compito con una capacità di analizzare e conoscere il fenomeno più profonda. A Torino abbiamo tanti poliziotti calabresi, proprio perché nella Squadra Mobile avevamo bisogno di tradurre telefonate e dialoghi della ’Ndrangheta. Questa può essere una ricetta.
Marco Martino è nato a Roma nel 1968. Laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche, è vice Questore aggiunto della polizia di Stato dal 2001. Dal 1993 è residente a Torino e attualmente è vice dirigente della Squadra Mobile - Dirigente della Sezione Criminalità Organizzata.
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