9 dicembre 2024
Aggiornato 20:30
Rabbia silvestre

Oggi 28 settembre è la Giornata mondiale contro la Rabbia

La rabbia silvestre è una malattia poco considerata ma che ancora conta 60mila decessi all'anno

Cane rabbioso
Cane rabbioso Foto: Thorsten Schmitt | shutterstock.com Shutterstock

La rabbia, che nulla ha a che vedere con l’ira, è una malattia portata dagli animali selvatici e dai cani. Se ne parla poco, tuttavia, nel mondo quasi 60mila persone all’anno muoiono per rabbia silvestre, quasi sempre contratta per morsi canini. E ogni giorno le vittime tra i bambini sono un centinaio. La rabbia è una patologia che non è affatto scomparsa, per questo ogni anno, il 28 settembre, è la Giornata Mondiale dedicata alla lotta contro questa malattia.

Il merito della vaccinazione
In Italia la rabbia è stata eradicata grazie alla prevenzione, con la vaccinazione degli animali. Se vogliamo viaggiare con il nostro cane all’estero, infatti, è richiesta la vaccinazione. Non è così in altri Paesi, soprattutto del sud del mondo, dove ci sono molti i cani randagi e non esiste una profilassi o spesso risulta troppo costosa. Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato l’obiettivo di debellare la rabbia a livello globale entro il 2030 con una campagna chiamata ‘Zero by Thirty’. Per raggiungere questo ambizioso traguardo, MSD Animal Health, multinazionale del settore veterinario, da anni è impegnata nella lotta alla malattia attraverso le donazioni del suo vaccino antirabbico Nobivac Rabbia e il sostegno alle organizzazioni che combattono questa malattia nelle aree del mondo a maggior rischio, principalmente Africa a India. I principali partner di questo progetto sono Afya Serengeti project (Salviamo il Serengeti in lingua swahili) che lavora per eradicare la rabbia nel Parco nazionale del Serengeti in Tanzania, e Mission Rabies che ha lanciato un programma di vaccinazione per gli animali in paesi quali India, Malawi, Uganda, Sri Lanka, Thailandia e la stessa Tanzania.

Il programma di controllo
Si tratta di veri e propri programmi di controllo della rabbia dove, grazie al contributo dei sanitari locali, viene effettuata la vaccinazione di massa sui cani, con l’obiettivo non secondario di creare una maggiore consapevolezza dei rischi nella popolazione locale e un ‘cordone sanitario’ di animali vaccinati che frenano il diffondersi della malattia in zone dove l’animale è impiegato anche in ambiti lavorativi, come per esempio la difesa del bestiame. I risultati sono estremamente incoraggianti: con le vaccinazioni del progetto Afya Serengeti, di cui MSD Animal Health è partner dal 1997, ogni anno vengono evitati 600 casi di rabbia canina e vengono vaccinati 50 mila cani. I focolai di rabbia sono pari a zero nelle località in cui la percentuale di cani vaccinati è del 70%. Mission Rabies, fondata nel 2013, ha finora vaccinato oltre 600 mila cani e istruito un milione e 200 mila bambini su cosa fare in caso di morsi, oltre alla formazione di un centinaio di veterinari locali.

Non si capisce subito se un animale ne è infetto
«Purtroppo – sottolinea Davide De Lorenzi, medico veterinario, da molti anni volontario in Mission Rabies – non esiste un modo precoce per accorgersi se un animale ha la rabbia: i sintomi iniziali sono essenzialmente neurologici e portano solo a lievi cambiamenti caratteriali e comportamentali. La sintomatologia più grave ed evidente si ha solo negli ultimi giorni di malattia quando ormai è troppo tardi. Il morso di una cane rabbioso sull’uomo porta alla trasmissione della malattia e alla morte se non vengono messi in atto specifici interventi di profilassi. Ma le cure mediche sono a spesso troppo costose se paragonate a uno stipendio medio in molte aree rurali dei paesi dove opera la nostra ONG. Il dramma è che il 70% delle persone colpite da rabbia ha meno di 16 anni: sono bambini e ragazzi che banalmente sono abituati a giocare con i cani e che non conoscono i potenziali rischi di un morso o di un graffio». I volontari di Mission Rabies si spostano di villaggio in villaggio per cercare focolai e per intervenire con le vaccinazioni dove possibile. «Ci facciamo aiutare da veterinari locali – spiega De Lorenzi – che ci danno una mano anche con la lingua. Il nostro lavoro, oltre a vaccinare gli animali, è anche diffondere le informazioni e aumentare la conoscenza di questa malattia».