20 aprile 2024
Aggiornato 14:30
Fertilità e chemioterapia

Avere un bambino dopo la chemioterapia si può. Scienziati testano l’ovaio artificiale

Scienziati americani mettono a punto un «ovaio artificiale» che permetterà a molte donne di rimanere incinta anche dopo la chemio. La soluzione è migliore del congelamento dei tessuti

Anche le pazienti oncologiche potranno avere figli?
Anche le pazienti oncologiche potranno avere figli? Foto: Alex Traskel Shutterstock Shutterstock

Non è affatto facile assistere a una diagnosi di cancro. È un momento in cui tutto il mondo ci crolla addosso, tutte le speranze e i sogni divengono – ai nostri occhi - una chimera irraggiungibile. Ancor peggio se si è molto giovani e si aveva intenzione di mettere alla luce un bambino. Tutti conosciamo, infatti, gli effetti devastanti della chemioterapia. Una cura che non uccide solo le cellule cancerose ma anche quelle umane creando danni gravissimi. Uno di questi potrebbe anche essere l’impossibilità di avere un figlio. Ma grazie a una nuova tecnica molte donne potranno comunque coronare il proprio sogno. Ecco perché.

Un figlio dopo la chemioterapia
Avere un figlio dopo la chemioterapia non è impossibile, alcune donne ci sono riuscite. Ma presto, probabilmente, potranno riuscirci molte più persone grazie alla realizzazione di ovaie artificiali messe a punto da un team di scienziati dell’Università di Copenaghen. L’organo è stato riprodotto grazie a uova e tessuti umani.

Non solo per i pazienti oncologici
L’ovaio riprodotto in laboratorio è in grado di tenere gli ovuli in vita per diverse settimane aumentando considerevolmente la possibilità di avere un figlio anche dopo aver eseguito cure devastanti come chemioterapia e radioterapia. Ma non solo: l’opzione potrebbe essere utile anche per tutte le donne affette da sclerosi multipla e beta-talassemia, pazienti che normalmente si vedono costrette a seguire terapie aggressive per riavere la fertilità.

Altre opzioni
In realtà questo non è l’unico metodo per avere la possibilità di avere figli anche dopo la chemioterapia. Molte donne, infatti, ci sono riuscite grazie alla crioconservazione: ovvero alla rimozione del tessuto ovarico prima della terapia e al successivo re-impianto eseguito al termine della cura. Se questo da un lato è considerato un metodo abbastanza sicuro, dall’altro può non andar bene per alcune pazienti oncologiche. Tra queste quelle affette da leucemia e quelle che hanno avuto il cancro anche alle ovaie. Se infatti venisse re-inserito parte del tessuto in cui vi ea anche solo una piccola percentuale di cellule cancerose queste si replicherebbero nuovamente nell’organismo umano.

Come sono state prodotte le ovaie
Grazie al team Rigshospitalet di Copenaghen coordinato da Susanne Pors è stato possibile creare una sorta di ovaio artificiale. Per metterlo a punto hanno prima usato prodotti chimici per spogliare il tessuto ovarico da tutte le proprie cellule, specie quelle cancerose. Il risultato è una sorta di impalcatura di collagene  in cui vengono successivamente seminati follicoli umani, ovvero le sacche che contengono le uova in fase iniziale. Durante l’esperimento condotto su modello animale, si è potuto dimostrare che dopo 3 settimane un quarto dei follicoli era ancora presente e i vasi sanguigni avevano cominciato a crescere intorno all’ovaio.

La prova
«Questa è la prima prova che possiamo effettivamente supportare per questi ovociti. È un passo importante anche se la strada è ancora molto lunga. Ci vorranno molti anni prima che possiamo replicare lo stesso processo in una donna umana», ha dichiarato Pors al The Guardian. Indicativamente gli scienziati potrebbero impiegare circa 5 -10 anni prima che le donne possano avere a disposizione la cura. «Sarà molto rassicurante, se questo lavoro raggiungerà la sua realizzazione, che i pazienti potranno avere il trapianto sapendo che non vi è alcun rischio di trapiantare anche il cancro [come avviene con il tessuto congelato, nda]. La bellezza di tutto ciò è che molte delle donne con innesti ovarici rimangono incinta naturalmente e non devono sottoporsi a fecondazione in vitro», conclude Stuart Lavery, ginecologo dell'Hammersmith Hospital.