Il giorno dopo la fine dell'era Marchionne: Torino, l'Italia e la paura del futuro
Il gruppo potrebbe essere ceduto o venduto a pezzi. Decine di migliaia di posti di lavoro in bilico: serve un nuovo intervento massiccio dello Stato

TORINO - Le porte di Mirafiori sono desertificate: il fiume umano dei tre cambi turno è stato sostituito da piccoli grappoli di uomini e donne, molti con i capelli grigi e le schiene curve dopo decenni di fabbrica. Le carrozzerie sono ferme e addirittura mille operai sono stati spostati alla Maserati di Grugliasco per potere fruire dell'ultimo anno di cassa integrazione. Eppure, nonostante il passaggio da sessanta mila a venti mila lavoratori, Torino ha paura che qualcosa si possa rompere. Una delle sette città nel mondo dove è nata l'automobile, l'unica che ha cancellato ormai buona parte della sua storia. La malattia dell'amministratore delegato si allunga come un'ombra sinistra su una comunità che non sa cosa fare per andare avanti. Dopo un secolo di storia, dopo essere stata la fabbrica delle fabbriche, dopo aver creato la classe media e aver realizzato il sogno del figlio dell'operaio che diventa dottore, la Fiat guarda al suo passato e lo vede immensamente più lungo del futuro che l'aspetta.
Lo spettro del fallimento e il ruolo di Marchionne
Dicono che fosse tecnicamente fallita quando arrivò Marchionne; ma ogni giorno nel quadrato di quattro chilometri per due entravano quarantamila operai. Oggi che tutti i debiti sono stati ripianati, che la cedola è sempre più ricca e il valore borsistico è quadruplicato, ne entrano circa quindicimila. Marchionne è l'uomo che ha fatto l'operazione perfetta, ma il paziente, il lavoro, è morto. Poteva fare diversamente? La risposta è no. La globalizzazione economica ha i suoi vincoli e uno di questi prevede che i gruppi medio piccoli, come era appunto la Fiat, e come è tuttora Fca, non abbiano speranza. E non c'è nemmeno futuro, lo diceva perfino Marchionne, per lo stesso oggetto principe di questa storia: l'automobile. Che le nuove generazioni non bramano più, relegandolo a pezzo di novecento superato come tutti gli altri.
La fine dell'auto di proprietà
Marchionne parlava, spesso, della fine dell'auto di proprietà: e questa è l'assoluta verità in Europa. Certo la politica non ha aiutato, e lo stesso ha fatto il mondo intellettuale: tutti impegnati a celebrare la globalizzazione del commercio, ciechi di fronte al fatto che si stava mettendo in concorrenza l'operaio di Mirafiori con lo schiavo cinese. Non già gli Agnelli, o Romiti, Cantarella, Fresco, Marchionne, dovevano fare questi discorsi, ma i vari governi che si sono succeduti, molti dei quali di centro sinistra. Torino è il simbolo di questo passaggio perdente della storia: dalla de-industrializzazione a Ronaldo, passando dalle ennesime Olimpiadi, sperando che qualcosa arrivi, pur di sopravvivere, pur di andare avanti. La storia a tinte forti, in cui perfino l'immenso potere di chi ha comandato l'Italia per decenni si è rivelato fragile di fronte alla spinta del mercato globale.
La fine dell'era Marchionne e la fine dell'italianità
Amico personale del presidente Obama, con cui ha chiuso l'accordo su Fca – di fatto cedendo la Fiat a Chrysler – ha più volte sottolineato che l'ascesa di Trump tra gli operai «ha ottime ragioni». Cosa sarà della Fiat, dell'industria italiana? E' bene dirlo con chiarezza: potrebbe essere comprata interamente da un grande gruppo asiatico, oppure venduta a pezzi. E dentro ci sarebbe tutto: dalla Juventus, alla Ferrari passando per le case automobilistiche. Scenario apocalittico per i lavoratori, in cui la proprietà si polverizza e diventa tanto invisibile quanto pericolosa. La fine dell'era Marchionne porta la fine dell'italianità dell'azienda in un momento in cui si stava decidendo cosa fare del futuro ingombrante: un problema gigantesco quella della denazionalizzaizone della Fiat. La sua trasformazione in un soggetto apolide, lontano da Torino e dall'Italia.
Il ruolo dello Stato italiano
Servirebbe un intervento massiccio dello Stato per sostenere gli stabilimenti italiani, per dar vita al lavoro e alla domanda interna. Serve un progetto industriale per Torino e per l'Italia, fondato sull'auto elettrica e sull'automobile a guida autonoma: per valorizzare il passato, per non buttare via tutto. Ma Fca, nel caso in cui non venga smembrata o acquisita, non avrà mai la forza per queste operazioni. Ci vuole lo Stato, l'intervento pubblico per salvare l'industria dell'automobile e trasformarla da ciò che è in ciò che sarà tra venti anni. In caso contrario il destino delle grandi fabbriche dell'auto è segnato,e con lui quello dell'Italia.