Scontri Casale San Nicola, Antonini (Casapound): «Condanne che sembrano prestabilite»
Il vicepresidente di Cpi commenta le condanna per i disordini avvenuti nel luglio di due anni durante la protesta contro l’apertura di un centro di accoglienza
ROMA – «Tutto lo svolgimento del processo è come se si fosse rivelato inutile: la tesi iniziale sembra essere stata portata avanti fino alla fine, come se non fossero stati prodotti gli atti o le stesse testimonianze degli operanti» sono le parole di Andrea Antonini, vicepresidente di Casapound, sulla condanna ai nove militanti dell’organizzazione per i disordini scoppiati nel luglio 2015 con pene che vanno da 2 anni e sette mesi a tre anni e sette mesi.
«Un processo allucinante» – Per giudicare le condanne occorre fare qualche passo indietro. Estate 2015: a rendere ancora più bollenti gli animi dei residenti di Casale San Nicola – zona nei pressi de La Storta, a nord di Roma – arriva la decisione di stanziare in una struttura un numero imprecisato di immigrati. Immediatamente i cittadini si mobilitano per protestare contro un insediamento che presenta aspetti poco trasparenti: tra i manifestanti, da subito, ci sono anche i militanti di Casapound. Eppure… «Nella prima ordinanza di custodia cautelare che è stata emessa – osserva Antonini – veniva offerta una ricostruzione dei fatti a dir poco allucinante tanto da arrivare a giustificare gli arresti, sostenendo come il nostro movimento si fosse infiltrato nelle proteste pacifiche dei cittadini che andavano avanti da mesi. Così – sempre secondo il pm Albamonte – all’arrivo dei pullman avevamo provato l’assalto ai pullman e la polizia si era frapposta, scatenando poi gli scontri».
Casapound con i cittadini – Nel corso del procedimento, però, sono state dimostrate altre cose: «Siamo riusciti a provare come la nostra presenza a Casale San Nicola in realtà risalisse a tre mesi prima del giorno degli scontri, ovvero dalle prime proteste del presidio, partecipando a tutte le attività del comitato. E su questo, come fa notare Antonini, ci sono anche le testimonianze della Digos, oltre a quelle dei residenti del quartiere: «In questo modo – sottolinea il vicepresidente di Casapound – la preordinazione di recarsi lì solo per far scoppiare gli incidenti, è caduta di fatto».
Il fulcro del processo – Ma c’è un altro aspetto molto importante su cui verte il dibattito che ha portato alle condanne dei militanti di destra: «Questo centro d’accoglienza, qualche mese dopo l’inizio del processo è stato chiuso con un’ordinanza prefettizia, seguito di una sentenza del Tar che stabiliva in modo incontrovertibile come tutti i lavori fossero stati eseguiti in assenza delle necessarie autorizzazioni». A Casale San Nicola, dunque, erano stati compiuti vari abusi nella struttura che avrebbe dovuto ospitare i migranti: «Su questi illeciti il prefetto di allora avrebbe dovuto vigilare all’atto del rilascio dell’ordinanza prefettizia che avrebbe poi fatto insediare i profughi. Doveva cioè verificare che tutti i requisiti del bando fossero rispettati». Non è un caso che proprio durante i tre mesi arrivò il sequestro della struttura, successivamente dissequestrata: » In ogni caso – secondo Antonini – è stata decretata l’assenza dei requisiti circa le condizioni per ospitarli. Quest’ordinanza prefettizia di installazione non è mai uscita fuori, agli atti del processo e reputiamo questa mancanza fondamentale, perché l'insediamento dei migranti sarebbe dovuto avvenire in presenza di un ordine scritto, cosa che invece manca agli atti del processo».
Processo prestabilito – Quel giorno, a Casale San Nicola, tutti quanti – residenti e militanti di varie organizzazioni – chiedevano l’esibizione dell’ordine del prefetto che stabiliva l'arrivo degli immigrati: «E nessuno l’ha mai esibito - attacca il vicepresidente di Casapound – né sta agli atti del processo. Ecco perché a nostro avviso è come se tutto lo svolgimento del processo non ci fosse mai stato: la tesi iniziale – quella della colpevolezza dei nostri militanti – è quella che è stata portata avanti fino alla fine».
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