19 aprile 2024
Aggiornato 02:30
Consiglio Nazionale del PDL

E nel giorno di Alfano va in scena il Berlusconi crepuscolare

Già in passato il Premier parlò di addio, ma oggi i toni sono sembrati da «uscita di scena»

ROMA - La premessa è doverosa, oltre che giustificata da 17 anni di berlusconismo: sebbene in molti ne celebrino l'inevitabile declino e l'imminente uscita di scena, Silvio Berlusconi è stato sempre capace di sorprendere proprio per capacità di durata e volontà ferrea di restare (o tornare) in sella. Ciò detto, l'immagine dei boati dedicati ad Angelino Alfano, il tono dimesso del Cavaliere, le lacrime del premier trattenute, accennate e forse liberate nel retropalco rendono agli occhi dei presenti il Consiglio nazionale del Pdl epocale. E lasciano ai fan berlusconiani la sensazione di una giornata un po' triste e vagamente crepuscolare.

«Il leader dal sole in tasca» - Tutto, nei gesti e nelle parole di Berlusconi, lascia immaginare che il passaggio di testimone odierno possa preludere a una qualche forma di disimpegno. Per questo Angelino Alfano, dandogli del «lei» e non nascondendo venerazione per il 'leader dal sole in tasca', prova a stoppare tutto candidando l'attuale Presidenza del Consiglio alla premiership del 2013. Berlusconi dal palco non raccoglie. Si commuove, piuttosto, mentre i mille delegati scandiscono 'Silvio, Silvio'. E parla di 'lascito', 'eredità', 'testamento politico'. Poi, con voce rotta, confida: «Ho sacrificato all'altare della libertà tutto questo. È un periodo intenso e difficile della mia vita, ma oggi con questa straordinaria unità mi ripagate di tutto questo».

Sia chiaro, l'addio per il premier non rappresenta un argomento mai battuto. Almeno da dieci anni al Cavaliere piace tracciare scenari del post berlusconismo e impegnarsi nel 'gioco del delfino'. Ma sono momenti passeggeri, sempre conditi dal richiamo allo spirito di 'sacrificio' che impedisce l'uscita di scena. Oggi, però, nella replica ha semplicemente eluso il tema, proiettando l'immagine di un Cavaliere forse stanco, provato, di certo emozionato, che scandisce con lentezza pochi concetti. Mai provando, soprattutto, a ribaltare l'impressione di un definitivo passaggio di testimone, con il rischio che diventi certezza politica nel Pdl e nell'opinione pubblica.

Al suo fianco c'è Angelino, la mano del premier sulla spalla. Il neo segretario ringrazia tutti, ma soprattutto prova a esorcizzare tutta la pressione che gli deriva da un'investitura plebiscitaria, ma anche figlia delle recenti sconfitte elettorali. Doverosa, allora, la precisazione: «Il Presidente ha parlato di questa come del suo testamento politico e della sua eredità politica, ha detto che questa vuole che sia la sua eredità. Dissento, non abbiamo nessuna fretta, abbiamo bisogno del suo sorriso, del suo entusiasmo e di credere che lei vincerà le politiche del 2013».

Eppure per la prima volta la scena non è sua, nel suo partito. La lascia ad Angelino, forse ritiene che in questa fase sia meglio così. Non 'riequilibra' l'energia del Guardasigilli. Ascolta invece tutti gli interventi, resta sul palco per ore. E abbraccia e bacia ogni oratore, li saluta stringendoli forte. Ma per dovere di cronaca va riportata una delle sortite berlusconiane, scelta quasi a caso tra le decine di questo tenore nell'ultimo decennio. Intervista sull'uscio di Palazzo Grazioli: «Credo che se dovessimo arrivare al partito unico e al bipartitismo perfetto, non avrei nulla in contrario a considerare la mia esperienza conclusa con un grande successo storico». Era il 30 aprile 2005.