19 agosto 2025
Aggiornato 00:30
«PD e Lega sono alternativi»

Bersani vede Maroni, ma il momento della verità sarà la manovra

Il segretario democratico è convinto che la maggioranza non reggerà. L'ala romana e meridionale del Pdl è giù sul piede di guerra

ROMA - Ancora un 'duetto' con Roberto Maroni, Pier Luigi Bersani non molla la presa sulla Lega, pur precisando che Pd e Carroccio sono «alternativi», ma il segretario democratico è convinto che il momento della verità possa essere in autunno, al momento del varo della manovra. «In tempi non lunghi la crisi del centrodestra arriverà alla sua maturazione», ha detto oggi arrivando al dibattito sulla sicurezza con Maroni. «Non sarà una manovra di palazzo ma siamo molto avanti nella disgregazione di questa maggioranza». La finanziaria quest'anno sarà lacrime e sangue, e per Bersani i miliardi complessivi da recuperare saranno 50-55, non 40 come dice Giulio Tremonti. Tanti soldi, troppi, secondo il leader Pd, perché la maggioranza possa reggere.

Piano «B» - Del resto, le parole pronunciate domenica da Umberto Bossi e la chiacchiera con Maroni di ieri hanno persuaso Bersani che la Lega in questo momento non si sgancia da Silvio Berlusconi. Bossi a Pontida è stato chiaro: «Se togliamo la fiducia vince la sinistra». Il Pd continua a 'tentare' il Carroccio, Bersani ripete che «il federalismo si fa anche senza Berlusconi» e che il Pd sulla legge elettorale sarebbe pronto a discutere. Ma, di fatto, il Pd ha ormai capito che il Carroccio non lascerà mai la maggioranza attuale senza avere pronto un piano 'B' che, al momento, il Pd non può garantire.

Ma se il bis del '94 al momento è improbabile, ciò non significa che il centrodestra possa superare indenne la manovra. Ieri Maroni, al dibattito con Bersani, ha sottolineato che secondo lui, per esempio, i «tagli lineari» non sono la scelta migliore, che «un Governo può porre delle priorità» e che, inutile dirlo, la sicurezza è una «priorità». Insomma, Maroni sembra preannunciare delle rivendicazioni al tavolo della prossima manovra. Cosa che, è facile prevedere, faranno anche gli altri ministri.

D'altro canto, una crisi sulla manovra difficilmente porterebbe a elezioni immediate, tanto più dopo il richiamo di Moody's. Giorgio Napolitano ha già l'hanno scorso agito in maniera incisiva per evitare che l'Italia andasse all'esercizio provvisorio e rischiasse di finire sotto l'attacco della speculazione e certamente sarebbe pronto a fare altrettanto il prossimo autunno. Forse anche per questo Bersani ha cominciato a 'picchiare' su Tremonti: il ministro dell'Economia, per il segretario Pd, non può affatto chiamarsi fuori dal giudizio che Moody's ha dato, è lui che ha fatto la politica economica del Governo in questi anni e non sarebbe certo l'uomo migliore per guidare un dopo-Berlusconi. Chissà se in questa posizione c'entrano qualcosa anche i buoni rapporti con Maroni, rivale di Tremonti per la guida di un ipotetico nuovo governo di centrodestra.

E, in attesa della manovra, l'ala romana e meridionale del Pdl è giù sul piede di guerra per la storia dei ministeri e il voto di oggi sugli ordini del giorno presentati dal Pd potrebbe far registrare una bocciatura clamorosa delle richieste leghiste. Niente che possa, da solo, far cadere il Governo, ma certo si tratterebbe di un altra crepa nel centrodestra.