19 agosto 2025
Aggiornato 01:00
Editoriale

Fini e il dilemma di Berlusconi

Ma la corrente interna al Pdl vuole contare di più o far fallire il progetto di Bossi?

Il presidente del Consiglio ha ancora ventiquattro ore per decidere come risolvere la vicenda Fini.
Per un decisionista come Berlusconi sarebbero anche troppe, ma la questione, per come è stata posta dal Presidente della Camera, richiede molta ponderazione.
Per evitare guai peggiori Berlusconi dovrebbe partire con l’accettare il principio che ormai le uova nel paniere sono rotte e tanto vale rassegnarsi alla nuova realtà. Che poi tanto nuova non è perché il controcanto di Fini è di lunga data, risale addirittura ai tempi in cui formava un trio con Follini e Casini.
Il cavaliere dovrebbe inoltre rassegnarsi al fatto che il cofondatore del Pdl non è solo.
Non si tratta solo di quei 52 parlamentari (più sei eurodeputati) che hanno firmato il documento in cui confermano a Fini un ruolo di leader. Il grosso del drappello infatti ha posto la firma a condizione che non si trattasse di un editto ribelle.
Chi ha firmato ha inteso difendere un principio e non dichiarare la guerra. Quando venisse il momento di imbracciare le armi lo schieramento potrebbe assottigliarsi vistosamente.
Ma non è solo dal fronte parlamentare che il premier deve guardarsi.

La fronda che ieri si è materializzata non nasce per caso ed evidentemente non cammina solo sulle gambe della richiesta di una maggiore democrazia interna al Pdl.
Fini si può dire che sia stato allattato dalla politica. Sa che non siamo ai tempi dei cavalieri medioevali: oggi per formare un piccolo esercito dietro alle questioni di principio bisogna fare intravedere opportunità e vantaggi concreti.
Anche i parlamentari si attengono allo slogan italico «tengo famiglia».
Si può essere certi che quelle 58 firme non sono state vergate su un pezzo di carta con leggerezza.
E’ vero che sanciscono un principio e non una ribellione, ma chi ha messo mano alla biro sa che per il carattere di Berlusconi basta un tentativo di sgambetto per fare dell’autore dello sgarbo un nemico da combattere o un «amico» da mettere da parte a vita perché inaffidabile.
Conclusione, ai 58 firmatari Gianfranco Fini deve avere fatto promesse credibili, prospettato occasioni favorevoli e condizioni realizzabili affinché si possa passare, al momento buono, dalla teoria alla pratica.

Se tutto questo ha un fondamento dietro la fronda ci deve essere dunque un progetto preciso. I mezzi per sostenerlo. L’apporto di forze collaterali per farlo andare avanti e non sfaldarsi al primo impatto.
Si legge su alcuni giornali che Umberto Bossi avrebbe messo in guardia il Cavaliere con queste parole: «attento Silvio, stanno tentando di riformare la Dc».
Il leader della Lega, secondo questa versione, avrebbe fatto anche dei nomi, e avrebbe messo in cima alla lista Draghi, Montezemolo, Casini, Rutelli e compagnia cantando.
Altri sostengono che Bossi starebbe spingendo Berlusconi ad accettare la presenza dei dissidenti, preoccupato che una spaccatura possa vanificare tutto il lavoro svolto sul federalismo fiscale.

E’ molto probabile che per Bossi la strada migliore da seguire sia quella di lasciar cuocere i 58 nel loro brodo, aspettando che perdano i pezzi giorno per giorno perché la loro azione non approda a nulla e la maggioranza va avanti lo stesso, nonostante i loro distinguo.
E’ una scelta il cui punto interrogativo sono i numeri in Parlamento. L’ormai consolidata prassi del voto di fiducia sulle leggi potrebbe però consentire di superare agilmente questo scoglio potendo contare sul fatto che una loro bocciatura palese nei confronti della maggioranza giustificherebbe quel ricorso alle urne che più degli altri temono.
Insomma la Lega sarebbe pronta a rintuzzare quotidianamente colpo su colpo, mettendo da parte ogni paravento diplomatico, forte della consapevolezza che è proprio il rifiuto delle ipocrisie diplomatiche che ha reso Bossi beniamino fra la sua gente.
Ma oggi a dover prendere una decisione è Berlusconi, non Bossi.

Per il Cavaliere la spina nel fianco interna non è un problema di forma, ma di sostanza.
La sua leadership si fonda sul principio della invulnerabilità del capo e sulla assoluta fedeltà della sue truppe.
Berlusconi sa bene che nessuna merce sul mercato può avere successo se i primi a non crederci sono coloro che la debbono vendere; o se i venditori si mettono a litigare fra di loro davanti al cliente. Questo vale per tutte le merci, ma ancora di più per la merce politica.
Davanti a un nemico il Cavaliere va a nozze: sa come individuarne le debolezze. Sa essere persuasivo, inflessibile, conciliante, duro o buonista, a seconda delle circostanze.
Da un nemico Berlusconi è pronto ad accettare tutto e tutto cercare di trasformare in suo favore. Basta vedere quanto hanno contribuito al suo successo i colpi bassi che gli avversarti politici hanno cercato infliggergli.

Ma anche Berlusconi ha un tallone di Achille: è il nemico in casa.
Quello che dopo una vittoria sofferta aspetta il tuo ritorno negli spogliatoi per riempirti di «ma» e di «però.
Quello che non ti fa dormire tranquillo anche quando hai messo il chiavistello alla porta.
Il presidente del Consiglio sa bene che per una volta il vero obiettivo non è lui, ma Bossi e il federalismo.
Il problema di Berlusconi oggi non è quindi proteggere solo se stesso, ma l’alleanza con la Lega.
Quindi Il dilemma è: per non mettere a rischio il progetto Pdl- Lega, Fini deve stare dentro o fuori dell’uscio?