Messina Denaro, si stringe il cerchio attorno al boss
Arrestati il fratello e 18 fedelissimi. Smantellato il «servizio postale»: gli affiliati consegnavano i suoi pizzini e gestivano gli affari di famiglia
TRAPANI - «Si sta stringendo il cerchio attorno al latitante numero uno Matteo Messina Denaro e sono ottimista sul fatto che molto presto riusciremo a catturarlo». Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni con riferimento all'operazione in cui sono stati arrestati 19 fedelissimi del più importante boss di Cosa Nostra ancora libero.
«TERRA BRUCIATA» - Il capo del Viminale ha aggiunto che nell'«importantissima» operazione antimafia dello Sco della Polizia statale di Trapani «è stata smantellata la rete postale del boss latitante numero uno dei trenta latitanti più pericolosi, Matteo Messina Denaro, che attraverso una rete di uomini faceva circolare le sue disposizioni con il sistema dei pizzini». Attorno al superboss, ha detto Maroni, si sta facendo «terra bruciata». Si tratta di una «grandissima operazione della Polizia di stato, tra quelle più importanti degli ultimi dieci anni».
Gli arrestati sono accusati a vario titolo, in ordine ai reati di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Gli uomini della polizia di Trapani e Palermo, supportati anche da equipaggi dei Reparti Prevenzione Crimine, hanno eseguito anche 40 perquisizioni, in diverse Regioni italiane, anche del Nord, nei confronti di soggetti contigui al contesto mafioso. Le indagini svolte dalla Polizia di Stato sono state coordinate dal Procuratore della Repubblica di Palermo e dal Procuratore Aggiunto Maria Teresa Principato, nonché dai magistrati Marzia Sabella e Paolo Guido.
«DIABOLIK» - Nato a Castelvetrano quarantotto anni fa, Matteo Messina Denaro è per tutti «Diabolik». Un soprannome che lui stesso si scelse in virtù della sua passione per il famoso fumetto delle sorelle Giussani. Del ladro gentiluomo, però, il figlio del vecchio capomafia castelvetranese don Ciccio Messina Denaro, ha davvero poco. Il suo «genio» criminale non tarda a manifestarsi, e ad appena 14 anni prende in mano la sua prima pistola. Un'arma che lo spingerà a commettere, quattro anni più tardi, il primo di una lista interminabile di omicidi. Un'attività che lo avrebbe portato un giorno a confessare ad un amico quella frase divenuta ormai il suo biglietto da visita: «Con tutti quelli che ho ammazzato, potrei riempire un cimitero».
Accusato di associazione mafiosa nel 1989, e condannato in via definitiva all'ergastolo per le stragi di Firenze, Milano e Roma, Denaro è latitante da diciassette anni. La carriera della «primula rossa» trapanese, e la sua scalata ai vertici di Cosa nostra, iniziano già all'indomani dell'arresto di Totò Riina nel 1993, e proseguono durante la seconda metà degli anni novanta all'ombra del capo dei capi Bernardo Provenzano, con il quale Denaro aveva intessuto un fitto rapporto epistolare.