28 agosto 2025
Aggiornato 11:00

Napolitano e i giovani: ripartire dalla Costituzione

Una democrazia minata da corruzione, clientelismo, nepotismo

ROMA - Ripartiamo dalla Costituzione. Napolitano rivolgendosi alle donne per la festa dell’8 marzo non ha detto esattamente così, ma il senso delle sue parole è stato proprio quello di chi vuole mandare un messaggio di rifondazione dei valori.
In un momento in cui avvengono episodi che lasciano nello sconcerto quella stragrande maggioranza della popolazione alle prese con un vivere quotidiano che non fa sconti a chi rispetta le regole, è come se il Presidente della Repubblica avesse voluto lanciare una ciambella di salvataggio
a tutti coloro che, guardando alle anomalie della nostra società, sono assaliti da un senso di disorientamento.
La ciambella di salvataggio di Napolitano si chiama Costituzione. Con quella bella apertura nella prima parte dell’articolo uno nella quale si dice che la nostra «è una democrazia fondata sul lavoro».
I padri costituenti non giudicarono necessario aggiungere l’aggettivo «onesto» a quel sostantivo che evidentemente ritenevano contenesse in se il concetto di onestà.
Dopo quanto è avvenuto in questi oltre sessant’anni di storia si può ben dire che invece il mancato richiamo all’onestà fra i fondamentali della Repubblica sia stata una omissione imperdonabile.

Napolitano oggi, 8 marzo, si è rivolto direttamente alle donne. Ma si può affermare tranquillamente che in mente avesse soprattutto i giovani, ragazzi o ragazze.
Sono infatti soprattutto i giovani a pagare il prezzo più alto di un convivere che troppo spesso ignora che debbono essere i valori i punti cardinali di una società non solo giusta, ma anche efficiente e moderna.
Associare i principi fondanti all’efficienza e alla modernità a qualcuno può apparire una contraddizione.
Per molti italiani infatti l’immagine di efficienza e modernità si sposa, cammina insieme a spregiudicatezza e conseguimento dei risultati con ogni mezzo.
C’è un alta probabilità che il malessere italiano abbia origine proprio da questo equivoco. Con la conseguente affermazione di una cultura che ha il conseguimento dell’interesse personale come unico obiettivo a scapito di una concezione condivisa del benessere.

L’equivoco sta proprio qui, nel ritenere che una società industrializzata, all’interno di un mercato globalizzato e altamente tecnologico, possa convivere con un intreccio levantino delle relazioni, con una concezione anarchica dell’affermazione e del soddisfacimento delle proprie ambizioni.

Se un risultato conseguito ad ogni costo fosse sufficiente a tenere in piedi una nazione l’Unione Sovietica starebbe ancora lì a dominare la sua fetta di pianeta. O forse, a quest’ora, avrebbe costretto ai suoi piedi anche l’altra metà del mondo, quell’Occidente apparentemente più fragile per via dei perenni dubbi della democrazia, dei suoi continui interrogativi, dalle sue continue ammissioni di colpa.
Cento anni di comunismo e la sua implosione finale ci hanno insegnato senza possibilità di equivoci che la storia non accetta scorciatoie perché risponde alle stesse regole dell’architettura: non accetta edifici senza fondamenta e riserva un destino amaro a chi costruisce sull’argilla.
Inoltre il comunismo ha potuto resistere a lungo alle sue contraddizioni grazie ad un sogno settecentesco dell’egualitarismo fuso all’interno di una società non ancora uscita da un’ organizzazione sociale ottocentesca. Non appena l’Occidente ha accelerato il suo processo tecnologico l’Unione Sovietica e il comunismo si sono infatti sbriciolati come mura corrose dal tempo.

Ma quanto ci vuole nell’era del «digital divide» perché un castello mal costruito precipiti a terra?
Con la crisi dei mutui e delle banche mondiali una mezza risposta a questo quesito l’abbiamo già avuta.
Diciamo che abbiamo assistito alle prove generali.
Infine con il rischio fallimento di Grecia e Spagna stiamo assistendo alla caduta dei bluff e delle illusioni.

L’Italia vanta un tessuto produttivo sano, punte di eccellenza distribuite sul territorio, capacità inventiva e potenzialità tecnologiche.
Ma ha bisogno di credere nelle sue forze. Ha bisogno di giovani motivati. Ha bisogno di puntare sul suo futuro.
E’ possibile creare queste condizioni in un brodo ambientale eternamente inquinato da disvalori?
Quotidianamente assalito dal morbo della corruzione? Del clientelismo? Del nepotismo?

Vorremmo svegliarci e scoprire che questi interrogativi sono solo frutto di un «moralismo disfattista», anche se in buona fede.
Ci auguriamo che ci sia qualcuno in grado di dimostrarci che corruzione, clientelismo e nepotismo siano semplicemente frutto della nostra mente deviata.
Se ci fosse questo qualcuno capace di portarci le prove del nostro errore, per il bene dei nostri figli non potremmo che essergli che grati.
Non aspettiamo altro che qualcuno ci spiattelli l’onestà dei concorsi, degli appalti, delle nomine, della sanità, della spesa pubblica, dei contribuenti, e perché no, dei giornalisti che rispondano al prezzo pagato in edicola e non agli interessi dei loro editori.

Se questa verità inaspettata all’improvviso si palesasse quella democrazia che non ha bisogno di eroi, della quale oggi ha parlato il Presidente della Repubblica, sarebbe già realizzata.
E nei giovani sarebbe tornata la speranza.