19 aprile 2024
Aggiornato 23:30
La testimonianza del figlio dell'ex sindaco di Palermo

Ciancimino jr: «a Riina fu concesso l'onore delle armi»

«La mancata perquisizione del covo servì a permettere di togliere le carte raccolte»

PALERMO - A Totò Riina fu concesso «l'onore delle armi». Il fatto che il suo covo non sia stato perquisito per 15 giorni, dopo la sua cattura, è dovuto ad un accordo che Vito Ciancimino aveva preso con Bernardo Provenzano e con i carabinieri. A rivelare questa fase della presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra, è stato Massimo Ciancimino, nel corso della sua testimonianza nel processo Mori-Obinu. «Mio padre mi disse che nel momento in cui si doveva attuare la cattura, andava rispettata la famiglia. doveva essere messa in condizioni di allontanarsi, raggiungere il paese, togliere documenti conservati da Riina».

Lui temeva un atteggiamento millantatore, sue conoscenze e suo archivio. Riina si vantava che se avessero perquisito il covo, crollava l'Italia. Mio padre diceva che il suo atteggiamento ricattatorio, era frutto di millanterie. Mi diceva 'E' capace di scriversi le cose da solo, per farsele trovare». Questo «margine di operatività» fu garantito da Don Vito, dopo una intesa con Bernardo Provenzano, e una comunicazione al signor Franco (il non ancora identificato presunto agente deviato dei servizi)e poi detta ai carabinieri.

A Provenzano, in tutto questo, «fu assicurato che poteva muoversi tranquillamente». Lui secondo Don Vito, stando alle parole di Ciancimino jr, era l'unico capace a ricondurre Cosa nostra, anche a detta dei carabinieri, in una strada ragionevole. L'unico personaggio che poteva ricondurre Cosa nostra nella strada della non visibilità, e per questo gli fu garantita l'impunità. Questo fu detto ai carabinieri e fu assicurato dai carabinieri e di questo fu informato il signor Franco».