25 aprile 2024
Aggiornato 20:00
Un emendamento riduce a 15 anni l’obbligo scolastico

Il ritorno del garzone

Nell’era del digitale l’Italia spinge i suoi giovani in braccio alla dequalificazione

Non è il caso di fare troppe congetture sulle motivazioni che hanno spinto i rappresentanti della maggioranza di governo in Commissione Lavoro della Camera ad approvare un emendamento che riduce a 15 anni l’obbligo scolastico, consentendo ai giovani l’alternativa di un periodo equivalente da dedicare all’apprendistato in fabbrica o in bottega. Chi non ha voglia di studiare, avrà concluso chi ha votato l’emendamento, tanto vale che vada a lavorare.
Il ragionamento apparentemente non fa una piega. Le crepe di questa logica si manifestano invece se ci pone una domanda di vitale importanza.
La domanda è questa: questa scorciatoia, che ci riporta ai tempi in cui a lavare le tazzine nei bar c’erano ragazzini che si e no avevano finito le elementari, fa bene ai giovani? Fa bene alle imprese? Fa bene al Paese?
Poiché la risposta è decisamente no per quanto riguarda le imprese e il Paese, non può essere che negativa anche per i giovani.

Ma non a caso abbiamo messo l’interesse per i giovani al terzo ed ultimo posto, nel valutare la validità di questo provvedimento. Per troppo tempo, infatti, in Italia i diritti e le opportunità da mettere a disposizione delle future generazioni sono stati influenzati da schemi ideologici che spesso hanno superato a piè pari la realtà facendo danni che oggi pagano sulla propria pelle proprio coloro che avrebbe dovuto essere avvantaggiati da decisioni prese in nome di astratte visioni della società.
Tracce di questi errori ce ne sono a volontà. Ne citiamo due perché sono fra quelle che hanno causato più danni: una è la dequalificazione della scuola media; l’altra è il rifiuto del numero chiuso nelle Università, con il risultato che a Napoli ci sono più avvocati che in tutta la Francia.
Stabilito in partenza quindi che l’ideologismo su questi temi va combattuto con la stessa determinazione che bisogna riservare al culto dell’ignoranza, veniamo agli aspetti pratici dell’emendamento taglia obbligo scolastico.

Per quanto riguarda le imprese, se c’è ancora la presenza, fra le piccole e le piccolissime aziende, di chi potrebbe avere interesse ad occupare giovani senza alcuna formazione, ci si deve chiedere: per indirizzarli verso quali produzioni?
Ci si deve chiedere, inoltre, quale potrà essere l’avvenire di queste aziende in grado di occupare manodopera senza arte né parte. Aziende ancora appese a settori obsoleti sui quali pesa una concorrenza mondiale imbattibile nell’impiego delle sole braccia.
Eppure è noto a tutti che a fronte di una disoccupazione giovanile che tocca il 26 per cento, molte aziende sono frenate nella crescita dalla mancanza di tecnici di progetto, manutentori, responsabili di commerci, quadri di alta formazione professionale. Cioè di personale che non si forma attraverso l’apprendistato, come accadeva ai tempi in cui si poteva mettere anche un ragazzo proveniente dalle campagne davanti ad un tornio o alla catena di montaggio e il gioco era fatto.
Altro che togliere i giovani dalla scuola, bisognerebbe lasciarli per un tempo anche maggiore, purché sui banchi si insegnasse loro quello che il mondo del lavoro oggi richiede.

Se cè un’area che teoricamente si presterebbe all’apprendistato di vecchio stampo, questa è
l’artigianato.
E’ un settore nel quale si contano a decine di migliaia i posti vacanti.
Ma non è da oggi che i giovani rifiutano di indirizzarsi verso lavori in grado di offrire un avvenire sicuro.
Né il problema si risolve accorciando i tempi della scuola dell’obbligo. Chi non vuole fare l’idraulico o l’elettricista a sedici anni ci sono ben poche probabilità che lo voglia fare a quindici.
Bisogna invece risalire alle ragioni questo rifiuto. Si potrebbe scoprire così che i giovani voltano le spalle a lavori che pur offrono la sicurezza perché li ritengono di serie B.
Quindi è evidente che i giovani non cercano solo uno stipendio, ma anche un ruolo riconosciuto dalla società.
Allora, forse anche con l’artigianato non funziona l’abbreviazione dei tempi, ma è richiesto il contrario: l’allungamento dell’apprendimento in funzione di unire alla conoscenza del lavoro artigianale: l’informatica, la contabilità, le lingue. Tutte materie indispensabili ad una impresa artigiana moderna.
Infine bisognerebbe riprendere in mano il discorso delle scuole professionali. Stilando una mappa di quante sono, quali servizi offrono e soprattutto quali materie insegnano e con quali metodi.

Con le tecnologie moderne, quella che un tempo sarebbe apparsa come una fatica di Sisifo, potendo mettere tutto in rete oggi sarebbe alla portata del legislatore, qualora avesse voglia e tempo di occuparsene.
Il fatto che la riduzione dell’obbligo scolastico sia passata per la Commissione Lavoro e non per la Commissione Istruzione giustifica invece il sospetto che di formazione e del rapporto sempre più indispensabile in una società moderna fra studio e lavoro, chi ha deciso per il taglio dell’obbligo scolastico ne sappia ben poco.
E quel poco che ne sapeva lo abbia relegato nell’oblio, in nome di un risparmio miope e di qualche slogan propagandistico.