28 agosto 2025
Aggiornato 18:30
Solo a parole tutti concordano con il richiamo alla pacificazione di Napolitano

Chi gioca all’escalation

Intanto il ministro Maroni annuncia un giro di vite su Internet

Non sono passate 48 ore dall’aggressione al Presidente del Consiglio che tutto sembra tornare alla normalità, cioè alla «anormalità».
Va riconosciuto al presidente della Repubblica di avere pronunciato parole inequivocabili di condanna per il gesto dello squilibrato di Milano e di solidarietà nei confronti di Silvio Berlusconi. E fin qui siamo nella «normalità». Subito dopo, però, Napolitano è stato costretto a fare ricorso alla «anormalità», se tale deve essere considerata la posizione di un Presidente costretto, ormai da molti mesi, ad indicare praticamente tutti i giorni alle forze politiche il recinto invalicabile entro il quale svolgere il proprio mandato.

E’ un compito da navigatore al quale il Presidente ha ritenuto di non dover rinunciare anche nel commento all’attacco subito da Berlusconi. Napolitano ha infatti, aggiunto alle parole di esecrazione per il folle gesto, un monito all’opposizione affinché non dimentichi che chi ha vinto le elezioni ha il diritto-dovere dovere di governare per cinque anni e quindi è inutile cercare scorciatoie, e un invito alla maggioranza a non scambiare per complotti quello che è un democratico dissenso.
Nell’alveo della «anormalità» rientra anche il ritorno dei due schieramenti ad un dialogo a distanza (se così si può chiamare) farcito unicamente di slogan.
Lo slogan, va precisato, può essere considerato «normalità» in campagna elettorale per la sua sintesi evocativa. Si guadagna, invece, la «A» privativa se diventa lo strumento utilizzato per argomentare e interloquire. Lo slogan infatti racchiude tutto un pensiero. Interpreta il detto e non detto e non lascia spazio ad altro che ad un'unica verità, quella proclamata da chi lo lancia, anche quando il momento richiederebbe uno scambio, una volontà di accogliere con lucida serenità le ragioni altrui per uscire dalla logica dei diktat.

Due sono gli slogan ricorrenti in queste ore: «Senza se e senza ma» e «Escalation».
Sono stati pronunciati indifferentemente da esponenti della maggioranza o dell’opposizione: l’uno per richiedere o manifestare la condanna della violenza; l’altro per fare un processo alle intenzioni della parte avversa.
Se passiamo ad analizzare i comportamenti delle ore che si sono succedute basta poco per verificare che gli slogan sono soltanto il paravento dietro al quale nascondere intenti che nulla hanno a che fare con quel processo di riflessione e di riconsiderazione delle rispettive posizioni che a parole tutti invocano.
Stendiamo un velo pietoso sulle parole pronunciate da Antonio di Pietro e Rosy Bindi con l’intenzione di trasformare Berlusconi da vittima ad istigatore dell’aggressione.
Ma è altrettanto difficile che vada nella direzione del riavvicinamento di sponde che si sono troppo allontanate dal tracciato della dialettica politica la proposta di legge del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che vorrebbe condannare a tre anni di carcere chiunque contesti o disturbi una manifestazione politica.
Ci auguriamo che il ministro La Russa, nella stesura di questa legge, si ricordi di fare qualche distinguo sulla natura delle contestazioni da punire con anni di prigione: a partire dalla constatazione se si tratta di disturbi provocati da un singolo o da gruppi organizzati; se pacifici oppure violenti, tanto per citarne alcuni.

Il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto, ha alzato il tiro nei confronti di Marco Travaglio che ha accusato di essere un «terrorista mediatico».
Ma l’episodio più sconcertante che ha fatto seguito al ferimento del premier è stato sicuramente l’affollarsi di supporter mediateci che su Facebook hanno inneggiato allo squilibrato all’aggressore del Duomo. In poche ore in oltre sessantamila hanno sfogato la loro rabbia contro Berlusconi plaudendo al suo ferimento e invocando dieci, cento, mille, nuovi Massimo Tartaglia.
In risposta, sempre su Facebook, si è costituito un contro gruppo di «solidarietà a Berlusconi» al quale sono state attribuite due milioni di adesioni, anche se questa cifra è stata ampiamente contestata.
Allo sconcerto per la violenza espressa su Facebook (Novanta iscritti si è guadagnato anche il gruppo «uccidiamo a sprangate Di Pietro») si è però unito quello per come ha reagito il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che ha annunciato a breve un giro di vite su Internet.
Intanto la direzione di Facebook ha deciso di oscurare autonomamente sia il gruppo «fan di Massimo Tartaglia»che il gruppo «difendiamo Berlusconi dai fan di Massimo Tartaglia», dimostrando così che, quando vuole, Internet ha già strumenti di autocensura efficienti.
In quanto a eventuali censure allargate forse sarebbe bene ascoltare lo stesso Silvio Berlusconi che dal letto di degenza ha ricordato a tutti che «è con l’ amore che si sconfigge l’odio e l’invidia».