19 aprile 2024
Aggiornato 00:00
L’Italia si presenta come un paese sull’orlo di una crisi di nervi

Berlusconi: il gesto di un pazzo può risvegliare la ragione di un popolo

Dopo l’attentato al Premier assumono più valore le parole di conciliazione di Napolitano

Quello che è successo ieri al Presidente del Consiglio è di una gravità assoluta.
Le immagini di Silvio Berlusconi insanguinato ci rimandano ad epoche che credevamo definitivamente uscite dalla nostra storia. E invece il sangue torna ad apparire sulle prime pagine dei nostri quotidiani.
Fortunatamente i danni provocati da quel gesto criminoso sono stati contenuti.
Ma la vista di quel rosso sul viso dolorante del nostro primo ministro deve provocare in ciascuno di noi il rigetto totale per le condizioni ambientali in cui quell’atto colpevole è maturato.
E’ infatti arrivato il momento di meditare a lungo sulle ragioni che costringono continuamente il nostro Paese sull’orlo di una crisi di nervi.

E’ una riflessione, dobbiamo ammetterlo, che si presta a molte metodologie.
Quella più sbrigativa è quella di addossarne la responsabilità interamente alla parte avversaria. E’ un giochetto che abbiamo già visto praticare da Di Pietro. Per ora è un esempio seguito da pochi, ma non ci sentiamo di escludere che, con il passare delle ore, possa contagiare una platea ben più vasta su tutte e due le sponde della politica.
Se fosse così non potremmo, allora, che prendere atto di essere ormai giunti ad un punto di non ritorno della sopportazione sociale dalle conseguenze politiche imprevedibili, ma con uno scontato esito pratico: il risultato finale non potrà giovare né al Paese, né alle nostre famiglie, né al nostro lavoro.

Che cosa ci dà questa certezza? Il nostro passato.
Alla fine della guerra i nostri padri, pur avendo di fronte scelte ben più difficili da assumere, al termine di una guerra fratricida, evitarono di percorre la strada dell’odio e della vendetta. Fu così che consentirono al Paese di conservare la lucidità necessaria per guardare unicamente al bene e alla crescita morale ed economica del cittadini.
Chi ha memoria di quale Italia fosse uscita dalla guerra, in quale stato di arretratezza versassero ampie zone del Paese, non può che guardare oggi a quei giorni della ricostruzione e della pacificazione, a quegli uomini che la resero possibile, con gratitudine, rispetto e ammirazione.
Quel passaggio epocale fu affrontato con animo collaborativo anche in presenza di una visione dalla politica e quindi della società diametralmente opposta. Inoltre appesantita da un contesto internazionale che sotto il nome di «guerra fredda» giustificava o addirittura spingeva verso soluzioni estremiste.
Nonostante tutto Don Peppone e Don Camillo mai si lasciarono accecare dall’incompatibilità delle loro idee. Si combatterono, a volte si scambiarono anche dei colpi bassi, ma mai accarezzarono l’idea di eliminare l’avversario.
La ragione di questo rispetto reciproco era una sola: Don Peppone e Don Camillo, non erano ripiegati unicamente su se stessi e amavano troppo il loro gregge per non considerare gregge anche quello del loro antagonista.

C’è qualcuno che può spiegarci quale visione incompatibile della società debba oggi generare l’odio del quale tutti parlano?
C’è qualcuno che abbia una ricetta che possa sostituire dall’oggi al domani quella che attualmente regola l’organizzazione della nostra società?
Se c’era, sia a destra che a sinistra, si deve dare atto agli attuali protagonisti della politica di avere eliminato dai rispettivi campi lo scenario dell’estremismo
Nessuno oggi in Italia ha da temere che l’avvento del suo avversario politico possa mutare i fondamentali della sua vita.
Nessun cittadino corre pericolo per ciò che possiede, per ciò che pensa, per ciò in cui crede.
A dividere oggi c’ è solo le scelte da fare per rendere più proficuo e migliorare ciò che nessuno ha in animo di modificare o trasformare radicalmente, tanto da renderlo inaccettabile alla controparte.
Anche un tema scottante e complesso come l’immigrazione vede i due fronti scontrarsi su come affrontare soluzioni importanti, ma tutto sommato marginali, come ad esempio il diritto di voto o il contrasto alla clandestinità. Nessuno pensa, infatti, a sbocchi traumatici quale potrebbe essere la decisione di cacciare gli stranieri dal Paese. Tanto è vero che i regolari sono ormai quasi quattro milioni e che la totalità degli italiani sono consapevoli dell’importanza che essi hanno in alcuni settori industriali, nelle campagne, nelle famiglie, nell’assistenza.
L’odio fra le due fazioni politiche, non può quindi essere in alcun modo giustificato da altre verità incontrovertibili come quella che impone di rispettare gli stranieri, ma di pretendere anche di essere rispettati.
Inoltre non siamo l’unico Paese europeo ad avere avuto e ad avere il problema degli stranieri. Risulta forse che in Francia, o in Germania, il problema dell’immigrazione abbia prodotto un odio fra i tedeschi e francesi più o meno favorevoli alla loro presenza?
Qualcuno ci può spiegare perché dobbiamo essere differenti da francesi o tedeschi?

Per spiegare l’atmosfera di schizofrenia in cui siamo costretti a vivere, la sinistra sostiene che l’anomalia sta in Berlusconi.
Senza voler entrare nel merito della decisone della Corte Costituzionale oggi dovrebbe essere doveroso rivolgere un grazie a chi aveva pensato che il Lodo Alfano fosse la strada migliore per metterci al riparo dal corto circuito fra Berlusconi e la magistratura.
Non è andata così e oggi forse varrebbe la pena di seguire il consiglio di chi suggerisce di ripristinarne comunque gli effetti del lodo bocciato dalla Consulta.
Detto questo ci riesce difficile condividere l’opinione di chi avalla il braccio di ferro fra magistratura e Berlusconi, anche a costo di alimentare quella spirale dell’odio che poi a parole tutti condannano.
A volte basta un evento imprevedibile a cambiare l’alchimia di vicende ritenute irrisolvibili.
A volte ci vuole una guerra per produrre una pace duratura.
Forse non è vano sperare che il gesto di una sconsiderato possa azzerare l’orologio degli italiani.
Forse ci voleva il gesto di un pazzo per riportare il metro di giudizio degli italiani ai tempi in cui l’operato dei politici era misurato a seconda che l’esito di fatti e provvedimenti a loro ascritti fossero valutati utili o dannosi per il bene dei cittadini.
Erano i tempi in cui il culto della personalità non aveva né fautori, né detrattori. Semplicemente non esisteva.