Il «papello» forse scritto dopo l'8 giugno 1992
Il «papello» consegnato dal difensore di Massimo Ciancimino, nessuno l'ha ancora visto se non i magistrati
PALERMO - La fotocopia del «papello» consegnato l'altro ieri in procura a Palermo, non contiene una data certa, per cui sarà arduo per i magistrati posizionarlo con esattezza nel tempo. Soprattutto riguardo all'ipotesi che sia stata proprio l'opposizione del procuratore aggiunto Paolo Borsellino alla presunta trattativa fra Stato e Cosa nostra, a causare una «accelerazione» e la decisione di uccidere il 19 luglio 1992 il magistrato.
Il «papello» consegnato dal difensore di Massimo Ciancimino, nessuno l'ha ancora visto se non i magistrati, visto che le foto pubblicate oggi da vari giornali, non sono quelle del «papello» originale, quello cioè con le 12 richieste allo Stato, ma quelle di appunti che sarebbero stati scritti da Vito Ciancimino per «aggiustare» le richieste di Totò Riina. L'originale scritto da Riina e consegnato dal medico Antonino Cinà - come scrive oggi il quotidiano La Sicilia che riporta i ricordi di Massimo Ciancimino espressi anche alla trasmissione Anno Zero - fece esclamare a Vito Ciancimino: «Il solito testa di c... che non capisce che a queste condizioni lo Stato non accetterà mai».
Don Vito, dunque, fece delle sue «correzioni». Entrambi i documenti sono adesso al vaglio dei magistrati di Palermo. Fra le dodici richieste del «papello» originale, una fornisce qualche indicazione temporale sulla ipotetica data di redazione:certamente dopo l'8 giugno 1992. E questo perché la richiesta, contenuta nel «papello», di abolire il carcere duro per i mafiosi, previsto dall'art.41-bis dell'ordinamento penitenziario entrò in vigore proprio quel giorno. Con il decreto legge, 8 Giugno 1992, n.306 «Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa».
Prima dell'introduzione dell'art.19 di quel decreto, per i mafiosi, non era previsto il carcere duro. Fu quel giorno che venne inserito il secondo comma: «Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del ministro dell'Interno, il ministro di grazia e giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'articolo 4- bis (che include il reato di associazione mafiosa ndr), l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza...». Il decreto venne convertito in legge il 7 agosto 1992. Poco meno di un mese dopo la strage di via D'Amelio che provocò, nella notte, la riapertura delle carceri di massima sicurezza di Pianosa e Asinara e la «deportazione» di tutti i boss ristretti nelle carceri siciliane.