6 dicembre 2023
Aggiornato 16:00
Caso Eluana Englaro

Eluana respira ancora

Sul caso Englaro ti proponiamo l’intervento del parlamentare del Pdl, Riccardo Mazzoni

Non so chi sia Imma Barbarossa, l’esponente di Rifondazione che ieri a Firenze ha accusato di «ferocia» e di «mancanza di pietà» le gerarchie vaticane che si oppongono all’eutanasia di Emanuela Englaro. Certo, i suoi toni e le sue inopinate certezze, più che il suo stesso cognome, fanno pensare che la ferocia stia soprattutto dentro di lei e nelle sue parole di piombo. Personalmente, al contrario di altri, non ho certezze su questa tragedia imperscrutabile e immane, e istintivamente sarei tentato di ritirarmi in un rigoroso silenzio e di dire solo che spetterà a Dio, e soltanto a lui, se c’è, giudicare quel overo (o scellerato?) padre che da diciassette anni si porta dietro il macigno di una figlia ridotta in stato vegetativo su un interminabile letto di morte.

Ma subito dopo mi chiedo con angoscia altrettanto istintiva: è vero, come ha sentenziato burocraticamente il primario anestesista che si è assunto la responsabilità di far morire Eluana, che quella ragazza sfiorita nel coma «è morta diciassette anni fa?». Eluana allora è già un cadavere? O è, piuttosto, ancora una donna, una persona costretta a una vita indesiderata, ma che è pur sempre vita? Martedì sera a Porta a Porta ho sentito, su questo tema, frasi agghiaccianti, e mi chiedo come si possa - spinti da un’ideologia di morte o da un freddo tecnicismo medico - cambiare le nozioni stesse di vita e di morte e spostarne il confine secondo convenienza. Perché chi respira - ed Eluana respira ancora senza bisogno di macchine - vive, e solo dopo l’ultimo soffio varca quel confine. Perché, dunque, cadavere? A un cadavere non si toglie l’alimentazione, come stanno per fare a Eluana, e l’alimentazione non è una terapia, perché acqua e cibo - o surrogato di cibo, ma il concetto non cambia - non sono medicine, sono anzi l’abc della catena nutritiva, e dunque è sbagliato anche dire, in questo caso, che «si è deciso di staccare la spina». Perché qui non c’è nessuna spina da staccare. Chi può sapere se Eluana, questa creatura confinata in quel simulacro di vita, soffre nella condizione in cui è. Chi può dirlo? Ma è probabile, molto probabile che soffrirà quando le verranno tolti acqua e cibo per infliggerle una lunga agonia: lo hanno messo per i scritto gli stessi giudici che hanno firmato il verdetto di morte, imponendo agli esecutori di sedarla. Ma a un cadavere non vengono somministrati calmanti. E dunque Eluana non è un cadavere. C’è un protocollo, sapete, anche per morire. Leggo: «La sospensione della nutrizione artificiale, attraverso il sondino naso-gastrico, verrà attuata a poco a poco e parallelamente verranno somministrati farmaci sedativi per evitare spasmi o reazioni neuromuscolari». Eluana, dunque, proverà dolore? La sola risposta a questa domanda è che nessuno lo sa. Nessuno.

L’unica certezza è che quando una persona smette di assumere cibo e liquidi va inesorabilmente incontro a un’insufficienza cardiaca, a un blocco renale e quindi alla morte. E mi martellano in testa le parole del professor Gattinoni: «Il suo destino è una fine tra le sofferenze più atroci». Di fronte a questi interrogativi la mente tende a smarrisi, e anche la fede vacilla quando la ragione domanda perché a Eluana è stata inflitta una sorte così apparentemente assurda. Vorrei chiudere qui: senza proclamare certezze. Solo con un moto di pietà verso Eluana, verso suo padre e verso chi le spengerà la vita. Non mi sento di chiamarlo assassino, ma non vorrei essere al suo posto, per non portarmi dentro un peso assurdo per il resto dei miei giorni. Leggo ancora infatti - è una frase del vescovo Sgreccia - che «stato vegetativo permanente è una forzatura senza basi scientifiche», e che «Eluana interagisce a modo suo col mondo». E che «con questo precedente, se vale la logica che si adotta oggi, ogni handicappato grave dovrebbe subire lo stesso trattamento». Toccherà al Parlamento dare una risposta a queste domande senza risposta, e non sarà facile varare un testo equilibrato sul testamento biologico. Ma nessuna proposta giacente, neppure quella radicale, la più estrema, prevede una fine come quella inflitta a Eluana. Nessuno, infatti, prevede di togliere cibo e acqua ai malati. Perché, forse, è semplicemente inumano. O feroce? Non so. E chiudo davvero, da deputato della Repubblica, con l’unica certezza che ho, e cioè che, anche su questo tema cruciale di vita e di morte, c’è stata una colossale, drammatica invasione di campo di un ordine dello Stato, la magistratura, che si è autoinvestita del compito di legiferare in una materia sulla quale il legislatore non è ancora intervenuto. Perché è tremendamente complessa, e non può essere liquidata con una impropria supplenza giuridica. E allora mi chiedo: perché?