19 aprile 2024
Aggiornato 22:00
Riforme e Istituzioni

Le regole del gioco, il futuro dei partiti

Orlando: «Servono riforme e istituzioni credibili»

Due visioni distinte della politica e del Paese. Delle risposte da dare alle esigenze dei cittadini e a quelle di un sistema che mai come negli ultimi anni ha vissuto una pesante crisi strutturale. Ne hanno discusso alla Festa Democratica di Firenze il responsabile Organizzazione del Partito Democratico Andrea Orlando, il coordinatore del modello strategy unit del PD Giulio Santagata, il segretario regionale toscano Andrea Manciulli, la presidente dell’associazione Libertà e Giustizia Sandra Bonsanti ed il coordinatore nazionale di Forza Italia Denis Verdini.

Al centro del dibattito, coordinato dal giornalista dell’Unità Bruno Miserendino, il futuro dei partito politici in Italia, visto soprattutto dal punto di vista di un nuovo «regolamento» comune di riferimento. Partendo da questo si è scaturita una discussione, sempre al limite tra il politologico ed il politico, che ha offerto alla platea due modelli diversi di intendere la cosa pubblica. Di certo con dei punti di contatto, ma sicuramente con delle marcate differenze in tema di partecipazione popolare, democrazia interna e legittimazione della leadership politica.

Il bipartitismo è ciò a cui sta andando incontro il futuro politico del nostro paese? A partire da questa domanda si sono subito evidenziate delle differenze di fondo tra centrodestra e centrosinistra. Se per Verdini, ormai il «bipartitismo è ciò a cui stiamo tendendo», arrivando ad affermare che dentro il Pdl (ancora tutto da costruire) devono confluire anche altre forze, oltre a Fi e An, molto diverse tra loro (come l’Udc e La Destra), al contrario Andrea Orlando invita a non confondere il bipolarismo con il bipartitismo.

«Cosa c’entrano tra loro l’Udc e la Destra – dice il responsabile Organizzazione del PD rispondendo a Verdini – dobbiamo parlare chiaro al Paese. In questo senso il PD ha sparato due colpi importanti da quando è nato: quello della semplificazione, poi seguito dal Pdl e dagli altri, e quello della rilegittimazione della classe politica». Le primarie, i leader scelti direttamente dai cittadini. «Certo – afferma Orlando – il percorso che abbiamo avviato deve ancora essere completato, ma gli altri non si sono neppure posti il problema. Se il PD va fino in fondo dal punto di vista della partecipazione e della democrazia interna, allora mette in mora tutti gli altri partiti».

Giulio Santagata coglie nella discussione tra bipolarismo e bipartitismo un dato che troppo spesso viene dimenticato o ignorato. «Non abbiamo ancora messo a punto le regole del bipolarismo e già parliamo di bipartitismo? Penso che nel breve periodo sia difficile». A questo punto, però, la domanda che Miserendino pone agli ospiti della sala dibattiti Giorgio La Pira viene in qualche modo spontanea: ma vale ancora la pena parlare di regole democratiche quando la nascita di un partito viene sancita dal predellino di un’automobile di lusso? E perché, a differenza del Pdl, il PD è invece il risultato di un lungo percorso politico e costitutivo?

La risposta, ancora una volta, è affidata ad Andrea Orlando. «Noi abbiamo fatto due congressi di partito e chiesto agli iscritti di Ds e Margherita cosa ne pensassero del partito nuovo. Il Pdl, che è comunque ancora lontano dal poter dire che il processo di formazione sia compiuto, è un soggetto privo di qualsiasi forma di democrazia interna». Una cosa va detta: il Partito Democratico è stato indubbiamente la più grande e trainante novità della politica italiana, dalla cui iniziativa hanno preso spunto tutte le altre soggettività del panorama nazionale. «Bisogna ricordarsi – afferma il segretario regionale toscano Andrea Manciulli – cos’era la politica prima di queste elezioni. La gente non ne poteva più della frammentazione, che finiva per pesare sulla concretezza della risposta che la politica dava alle esigenze dei cittadini».

Quanto alla forma partito, ben diversa si rivela la visione delle due grandi forze politiche italiane, Pdl e PD appunto. Se Verdini indica il «leaderismo carismatico» alla Berlusconi come il segno della modernità, i dirigenti del PD rivendicano con orgoglio «la cultura politica che sta alla base delle modalità di costruzione e funzionamento del nostro partito. Ed è anzi –aggiunge Manciulli – su questo modello che e con questa forze che ci proponiamo di cambiare l’Italia». Perché va bene la semplificazione, come fa notare Sandra Bonsanti, «ma semplificare troppo non è moderno, è semplicemente poco democratico». E sentir parlare di «leaderismo carismatico» come soluzione a tutti i problemi non sembra certo la ricetta migliore, dato che l’espressione è tristemente nota per essere stata utilizzata con orgoglio da Franco in Spegna e Salazar in Portogallo.

Secondo Orlando, al centro dell’attenzione deve esserci invece «il discorso legato alle regole dei partiti, come d’altronde richiama la costituzione con l’articolo 49. In tutti i soggetti, le regole e i dibattiti devono essere chiari e trasparenti, così come chiari devono essere i rapporti tra potere economico, mondo dell’informazione e potere politico». Darsi delle regole comuni deve essere parte di quella ‘rivoluzione istituzionale’ di cui il Paese ha bisogno. E’ proprio sul tema delle riforme delle istituzioni che si chiude il dibattito serale. Quello di Orlando è un appello perché in agenda vengano messe queste priorità: «Dobbiamo poter mettere in campo delle politiche pubbliche credibili e il solo modo che abbiamo per farlo ridare credibilità alle istituzioni agli occhi dei cittadini. La sinistra non ha modalità d’azione se le istituzioni non funzionano. La destra, al contrario, in questo vuoto si rafforza».

Stefano Cagelli