23 agosto 2025
Aggiornato 11:00
Intervista di Maria Zegarelli - L'Unità

Nicola Latorre: «sulla Giustizia Berlusconi usa la clava, ma le toghe esagerano»

«Le riforme non le faranno né gli avvocati, né i magistrati. Entrambi saranno ascoltati, ma sarà il Parlamento ad agire»

«Le riforme non le faranno né gli avvocati, né i magistrati. Entrambi saranno ascoltati, ma sarà il Parlamento ad agire».
Nicola Latorre, senatore Pd, esprime senza troppi giri di parole la posizione condivisa da molti nel suo partito rispetto all’allarme lanciato dal segretario dell’Anm Giuseppe Cascini. Quanto al premier, si ritorni «al rispetto per il maggiore partito di opposizione e per il suo leader», altrimenti il dialogo salta su tutto, federalismo compreso.

L’Avvenire definisce «sopra le righe» la reazione di Cascini. Lei parla di difesa corporativa a prescindere. Perché ritiene infondato l’allarme dell’Anm?
«In primo luogo perché queste dichiarazioni vengono fatte senza conoscere le proposte del governo. In secondo luogo perché i toni non aiutano ad affrontare con serietà e serenità una discussione che già di per sé è delicata. Nelle parole di Cascini c’è una preoccupazione corporativa a prescindere dal contesto e dal merito di ipotesi di riforma. Ci si muove sulla base di parti in commedia che abbiamo conosciuto in questi anni e che non hanno mai fatto fare un passo in avanti alla discussione sui temi della giustizia».

Lei ha detto che il premier usa la clava. Ritiene possibile con questi presupposti un confronto?
«Così come penso che Cascini abbia fatto dichiarazioni inopportune, ritengo altrettanto incomprensibile il fatto che il premier riproponga il tema della giustizia in questo modo. Non è possibile che si inizi una discussione insultando il più grande partito dell’opposizione e il suo leader. Impari a rispettare i suoi avversari: è la premessa per qualunque discorso».

Passiamo al merito: sulla riforma della giustizia quali sono i paletti?
«Bisogna assumere come centrale il rapporto tra i cittadini e la giustizia, che oggi non funziona per i tempi del processo e per lo squilibrio nelle funzioni e nei ruoli, tutto a scapito del cittadino. Altra questione: la nostra democrazia si fonda sulla separazione dei poteri e questo è un valore fondamentale per la tenuta del sistema. Naturalmente questo significa che tutti i poteri devono essere responsabili. Fatte queste premesse possiamo discutere di tutto, anche dell’obbligatorietà dell’azione penale».

Nell’abolirla non vede rischi di discrezionalità?
«Qui c’è un duplice problema: metterla in discussione può significare sottoporre il potere giudiziario al potere politico e questo va evitato. Ma bisogna riconoscere che l’obbligatorietà è stata utilizzata in maniera molto discrezionale dal potere giudiziario. Va cercato un punto di equilibrio».

Condivide l’ipotesi della responsabilità civile del magistrato?
«Certo: se un medico sbaglia nel curare il paziente ne deve rispondere. Se sbaglia un magistrato si faccia lo stesso».

Sulla separazione delle carriere?
«Non credo si debba enfatizzarla. Noi abbiamo parlato di separazione delle funzioni in passato. Possiamo confrontarci su questo, come sulla riforma del Csm. Non ci sono tabù da parte nostra, purché ci sia rispetto delle posizioni. Non ci faremo dettare l’agenda dalla maggioranza».

Se il Pd non vuole che il governo detti l’agenda, perché non prova ad imporre la sua?
«È esattamente quello che dovremo fare alla ripresa dei lavori. Così come il premier ha già indicato le sue priorità noi dovremo indicare le nostre. Sarà il Pd a decidere, ma ritengo che il tema della riforma federale dello Stato si debba coniugare ad alcune fondamentali riforme costituzionali. Non si può disgiungere il federalismo dalla costituzione del Senato Federale. Poi, non comprendo perché il centrodestra indica come priorità la legge elettorale delle europee e non parla più di quella nazionale anche in vista del referendum».

Letta dice che il Pd ha superato il livello di guardia...
«Credo che la ripresa politica debba essere segnata da una capacità del Pd di fare sintesi e la sintesi è il prodotto di una discussione collettiva».

Finora però, la discussione è stata a «mezzo stampa». Come ne uscite?
«Il punto è che si deve discutere nei luoghi deputati. Al rischio della spaccatura ci si espone quando i luoghi del confronto collettivo non funzionano. Il compito del gruppo dirigente nazionale deve essere quello di esaltare la funzione e il ruolo dei luoghi di discussione per arrivare alla sintesi. Quanto alle realtà locali, ci si deve muovere con grande circospezione, perché vanno rispettate, ma è evidente che c’è una mancanza di governo di queste situazioni».

L’ultimo dibattito è sul congresso. Quando? Prima o dopo le elezioni?
«In questo momento la vera priorità del partito è di concentrarsi sul suo profilo politico-culturale. Temo che la discussione che imperversa in questi giorni sulla mancanza di opinione pubblica nel nostro paese, tenda a nascondere la difficoltà a interpretare quanto sta accadendo nella società. Sarebbe meglio dedicare le nostre energie su questo punto e per delineare il profilo del Pd. Non credo che il congresso sia lo strumento ideale, tanto più perché tutto ruota intorno all’elezione del leader e il leader non è in discussione».

Alleanze. Aprire all’Udc?
«Non dipende da noi quello che farà l’Udc e non renderemmo un servizio all’Udc se li tirassimo per la giacca. Sono convinto che su questo tema bisognerà tornare, ma a ridosso delle elezioni, non ora. Adesso è auspicabile che tutte le opposizioni possano trovare punti di convergenza».