Livia Turco: «Berlusconi allergico all’idea di opposizione, è solo un modo per scappare»
Dialogo sì, dialogo no. L’ultimo a cannoneggiare è Berlusconi, con il suo armamentario di battute che sembrano scritte da uno sceneggiatore Mediaset
Dialogo sì, dialogo no. L’ultimo a cannoneggiare è Berlusconi, con il suo armamentario di battute che sembrano scritte da uno sceneggiatore Mediaset.
Livia Turco non ha dubbi: è lui il vero «demonizzatore», colui che concepisce solo il dialogo alle proprie condizioni. L’ex ministro alla salute rimanda al mittente le accuse e avverte: attenti, Berlusconi sta ignorando l’impoverimento del Paese. E ne pagherà le conseguenze.
Ora il premier si dice «deluso» da Veltroni. È il siluro finale alla stagione del dialogo?
«Il dialogo in politica esiste sempre. Il punto è che Berlusconi non accetta nessuna critica, pretende che l’opposizione non faccia il suo mestiere, che è quello di dire le cose che non condivide, di mettere in campo proposte diverse. Non è proprio in grado di accettare l’idea di opposizione. È lui che demonizza l’avversario, non noi. Una strategia che però non gli conviene, perché governare - anche per chi è abilissimo nel fare propaganda - è una cosa molto dura e complicata, a maggior ragione in un momento così difficile per il Paese. Si prospetta un autunno di fuoco. Chi governa deve avere la saggezza di chiedere a tutti il proprio contributo: attaccare e basta finisce per essere un atto di autolesionismo».
Berlusconi parla anche di «sudditanza psicologica e politica» del Pd nei confronti delle «frange giustizialiste»...
«Propaganda. Sono gli argomenti, molto ripetitivi, che gli tornano comodi per eludere le critiche. Risponda nel merito, che è quello di una politica economica che non è in grado di affrontare la caduta del potere d’acquisto, la sempre più difficile condizione di vita delle persone. Noi facciamo proposte molto concrete: la detassazione del lavoro e la restituzione del fiscal drag, per esempio. A lui chiediamo di di reagire finalmente all’impoverimento del Paese, di fare qualcosa per evitare l’erosione dei salari e delle pensioni, per incrementare la crescita e il consumo. Dia delle risposte convincenti. Non eluda i problemi con i soliti artifici».
Anche per il Pd la ripresa di settembre non sarà una passeggiata.
«Io credo che il Pd dovrà rafforzare e rendere più incisiva l’azione di questi mesi, e soprattuto credo che debba insistere sulle questioni economiche e sociali. Faremo di tutto per costringere il governo a misurarsi con la lotta alla povertà. Voglio dire: qui non è solo di politica redistributiva che stiamo parlando, ma di politica di sviluppo.
Se l’Italia intende essere competitiva sul mercato globale non può avere questa disparità rispetto ai salari europei, non può vedere ridotti i servizi sociali, non può non rendere competitiva la scuola e non dotarsi di una misura universale di lotta alla povertà. Siamo il Paese dal tasso di povertà più elevata. Dobbiamo dotarci di uno strumento simile a quello degli altri Paesi europei: in proposito presenterò una proposta di legge. Crescita, sviluppo, equità: questi sono i grandi temi del Pd, e penso che sono questi i propellenti della manifestazione del 24 ottobre».
Parliamo delle vicende interne al Pd. Ci sono attriti in Piemonte, in Sardegna e altrove, ci sono discussioni infinite su correnti e leaderismo... che problema c’è?
«Intanto ogni situazione ha la sua particolarità e anche la sua complessità. Io da piemontese non posso che affermare tutta il mio sostegno e la gratitudine all’azione di Chiamparino a Torino: sono sempre stata una sua fan, per così dire.
Vede, prima con Castellani e poi con lui si è costruita una stagione di riformismo molto importante, di cui dobbiamo essere orgogliosi. Governare Torino ha voluto dire affrontare la crisi della Fiat, una fase di deindustrializzazione, di depressione. Oggi Torino e tutta l’area industriale vivono una stagione di rinascita: in tutto questo lo sforzo dell’ente locale e anche della Regione è stato importantissimo. Conosco meno la situazione sarda, ma anche qui ho potuto verificare la vera e propria rivoluzione fatta per quanto riguarda la politica sociale...»
Sì, ma le polemiche?
«Per quanto riguarda il rapporto tra governo e partiti, credo che ciascuno debba fare la sua parte. Chi governa deve governare, il partito deve esprimere il raccordo con la società. Il partito non si occupa di nomine: penso che chi si richiama alla sinistra debba ricordare il Berlinguer della questione morale. Semmai il Pd deve elaborare delle proposte che spingano chi governa a fare delle scelte che privilegino sempre la trasparenza, il merito e la competenza.
Detto questo i partiti non possono essere liquidati come qualcosa di fastidioso, se ci sono critiche e disagi bisogna tenerne conto. Chi governa deve avvalersi della partecipazione e del confronto con i cittadini, altrimenti l’azione di governo risulterà inefficace».
«Il Pd è un prodotto vecchio, già fuori mercato»: sempre parole del Cavaliere.
«Che il capo di un governo si esprima in questi termini nei confronti della più grande forza d’opposizione dimostra che non è capo di governo affidabile. È poi strano che parli del Pd come di un oggetto vecchio, perchè sin dall’inizio fa tutto per imitarlo: per ultimo, con la scuola di formazione politica. Ma quello che mi colpisce è che non dà segno d’essere preoccupato per il Paese. Se vivesse tra i comuni mortali si accorgerebbe di quelli che si riducono le ferie, di chi risparmia sui saldi, dei precari, degli anziani. Sì, è stato votato, il che dovrebbe spingerlo a una maggior sollecitazione. E poi il consenso non è irreversibile...».