18 aprile 2024
Aggiornato 23:30
parola d'ordine velocità

Dietro gli scaffali di Amazon, la protesta dei lavoratori : «Ci contano i passi e siamo costretti a fare la 'spia'»

Ritmi di lavoro serratissimi, una catena di produzione organizzata nel minimo dettaglio dove la parola d'ordine è: velocità. Le dichiarazioni choc di chi lavora all'interno dei centri di smistamento di Amazon

PIACENZA - Nuovi modelli di business, digitalizzazione, consegna della merce in giornata, senza che il cliente debba muoversi di casa. L’era del «voglio tutto e subito» riguarda l’intera società. Con l’avvento di internet le distanze sono diminuite e sono aumentate le esigenze. Laddove la tecnologia facilita e abbrevia ecco che l’utente vuole sempre di più, non si accontenta mai. Ora c’è l’app che dice quando manca qualcosa in frigo, c’è il fattorino di Foodora (per dirne una a caso) che ci porta il sushi a casa. E ce lo porta subito. Velocità è la parola d’ordine. Ma a discapito di chi? Qualcuno che nella catena di produzione ci rimette c’è.

Prendiamo Amazon. Con il servizio Prime è possibile ricevere la merce ordinata entro le 24 ore, con il servizio Prime Now, attivo su Milano, la bistecca del macellaio arriva in 1 ora dall’ordine. Questo vuol dire una sola parola per chi lavora in Amazon e confeziona pacchi: velocità. Già perché la multinazionale conta anche i loro passi. «Non sto scherzando - ci racconta Carlo, attivista sindacale piacentino -. L’azienda è dotata di strumenti in grado di conteggiare i passi che noi facciamo durante le nostre ore. Pensa a che cosa significa correre per un’intera giornata lavorativa».

Ma perché avviene questo? «Amazon ti fa credere che se ti farai spremere come un limone riuscirai ad ottenere il posto fisso - ci dice Carlo -. E questo significa disponibilità volontaria agli straordinari, velocità di esecuzione, correre da una parte all’altra spostando pacchi pesanti senza neppure una pausa, né tantomeno la possibilità di andare in bagno». Chi si occupa di ricevere ciò che arriva in magazzino è, infatti, dotato di una pistola laser associata al nome dell’addetto che registra esattamente quanti oggetti è stato in grado di registrare e in quanto tempo: l’obiettivo aziendale è cinque in un minuto. Stesso discorso per chi, invece, si occupa dell’uscita dei prodotti. Dietro i pacchi che riceviamo a casa o sul posto di lavoro, ben rilegati e senza un’ammaccatura, c’è una catena di produzione che non si ferma mai, dove non ci si può fermare neppure un secondo senza il timore che il collega a fianco spifferi tutto ai piani alti.

Già, perché per guadagnare punti e quindi la possibilità di essere assunti in modo definitivo, c’è anche il meccanismo di delazione: «Qui fare la ‘spia’ è una consuetudine - ci dice ancora Carlo -. Più segnalazioni fai più alto è il tuo punteggio. Il tuo collega si è fermato troppo in bagno? Hai trovato qualcosa fuori posto la cui collocazione era responsabilità di un tuo collega? Perché non segnalarlo alla direzione? E questo avviene indipendentemente dal fatto che l’accusa sia fondata o meno. Spetterà alla direzione stabilirlo, ma, intanto, l’aver effettuato quella segnalazione, fa sì che il lavoratore si guadagni una ‘stellina’ in più». Avete presente quando all’asilo si parlava ‘male’ del compagno di banco alla maestra solo per dargli fastidio? Più o meno così. Solo che qui ci sono in ballo la salute e i diritti dei lavoratori. Senza contare che, almeno anagraficamente, si dovrebbe parlare di persone adulte e quindi più responsabili.

Nell’era dove tutto è veloce e a portata di mano e dove la rete sembra aver risolto numerose difficoltà - e per certi aspetti lo ha fatto - restano delle ombre, quelle che si celano all’interno degli stabilimenti della logistica di Amazon dove è praticamente impossibile mettere il naso. «Il polo logistico è fisicamente recintato - ci dice Carlo -. L’accesso è riservato solo agli addetti muniti di bagde ed è praticamente infattibile che gli appartenenti a un sindacato di base possano entrarci. Questo è il principale motivo per cui la rivolta sta avvenendo dall’interno e soprattutto da chi ormai è stato stabilizzato e non ha più paura di esporsi». Una lotta silenziosa che avviene tra gli scaffali, tra i muretti e i nastri trasportatori di quella merce che noi, da dietro il computer, ordiniamo con estrema facilità.

Fatica, stress e ansia che, tuttavia, non può durare per molto. Carlo ci racconta che la maggiorparte dei lavoratori sono giovani: sono gli unici a sopportare - anche se per breve periodo - i ritmi di lavoro, le corse tra uno scaffale e l’altro e la vergogna di aver sforato di 1 minuto i già pochi 10 minuti di pausa concessi. Per rischiare poi che qualcuno «spifferi» tutto. Dietro tutto questo l’ossessione della produttività, nel mondo di oggi dove a vincere non è mai il più bravo, ma il più veloce. A discapito, però, di chi lavoro lo fa con le proprie mani, anzi, con le proprie gambe.