28 marzo 2024
Aggiornato 23:00
Dal paradiso all'inferno, in pochi giorni

Steve Jobs sui media USA: da santo a tiranno

Questa è la sorte che sembra toccata a Steve Jobs sui media di tutto il mondo. Avrebbe potuto essere il primo uomo dell'anno postumo di Time (un riconoscimento tradizionalmente assegnato alle persone ancora in vita)

NEW YORK - Dal paradiso all'inferno, in pochi giorni. Questa è la sorte che sembra toccata a Steve Jobs sui media di tutto il mondo, che a meno di un mese dalla sua scomparsa sono passati dal considerare il fondatore di Apple come un genio assoluto e un rivoluzionario del nostro tempo, a metterne in luce gli aspetti negativi, tirannici e maniacali del carattere.
Il New York Times ripercorre la parabola mediatica di Jobs, che nei giorni immediatamente successivi alla sua morte veniva paragonato, in alcuni casi, addirittura a Leonardo Da Vinci. Allo stesso modo, non mancava chi lo voleva come personaggio dell'anno per il magazine Time (un riconoscimento tradizionalmente assegnato alle persone ancora in vita).
Per trovare la prima voce fuori dal coro, però, sarebbe bastato aspettare il giorno successivo alla sua scomparsa, il 6 ottobre, quando su Gawker, uno dei blog più conosciuti degli Stati Uniti, uscì un articolo dal titolo «Steve Jobs non era Dio».

Nel giro di pochissimo tempo, il mito appena costruito intorno alla figura di Stave Jobs è stato intaccato dalle rivelazioni sulla sua vita privata, sui suoi metodi di lavoro e sul rapporto coi dipendenti, che hanno riempito il web e i social network, dove il fondatore di Apple si è trasformato in un «diavolo», «un avido amministratore delegato», un «tiranno» e un «sociopatico».
Cinque giorni dopo la sua morte, nota il New York Times, il magazine britannico The Week aveva già pubblicato una raccolta di articoli che dipingevano Jobs in maniera negativa. E proprio l'uscita della sua biografia ha accelerato questa la trasformazione, grazie agli aneddoti, non sempre lusinghieri, raccontati nella biografia appena uscita di Walter Isaacson.
Per lo scrittore Kurt Andersen, ex direttore del New York Magazine, la velocità con cui «Steve il santo» è diventato «Steve il peccatore» è una diretta conseguenza della velocità della comunicazione odierna e della rapidità con cui si creano e si mettono in circolo le notizie.