Dall'ultimo Zar
a Vladimir Putin

I cento anni che hanno sconvolto il mondo

Oggi come allora la Russia rappresenta un grande enigma avvolto da un mistero. Partendo da San Pietroburgo ci siamo avventurati nel secolo russo

di Maurizio Pagliassotti

7 novembre 2017
7 novembre 2017

È di fronte al Palazzo d'Inverno di San Pietroburgo, in una uggiosa notte di novembre, che la Russia si raccoglie intorno a tutti i suoi fantasmi: per abbracciarli uno ad uno, e dire senza vergogna «noi russi siamo tutti vostri figli». Sugli stucchi dorati e sulle colonne affrescate d'azzurro che hanno conchiuso la vita e la morte dei Romanov prima e dei bolscevichi poi, viene rappresentata la Storia che ha sconvolto il mondo per settant'anni. È il 7 novembre 2017, cento anni dalla presa del potere da parte di Lenin e della sua «banda di mascalzoni, traditori e di pazzi» - come li definì in una lettera al popolo russo il capo del governo Kerenskij, menscevico, mentre stava scappando verso Londra e la «pattumiera della storia» - e sulla piazza del palazzo più importante di tutte le Russie si accalcano ventimila persone ogni mezz'ora per vedere una specie di fumettone che celebra i cento anni della Rivoluzione d'Ottobre.

Un milione di pietroburghesi in piazza
Un milione di pietroburghesi in piazza

Al termine della due giorni, a vedere il cartone animato che racconta la fine dei Romanov, l'ascesa dei soviet, e dopo un volo pindarico di cento anni la maestosità della Russia di Putin, si calcola che ci siano stati circa un milione di pietroburghesi. Russi attratti dai fantasmi, i cedevoli che, come diceva Zola che di quei tempi fu narratore precursore, non hanno saputo resistere alla deliziosa tentazione di vedere per soffrire. Oppure no: oppure sono uomini e donne che non si vergognano, che non cedono alla furia iconoclasta che segue sempre le sconfitte, che vogliono fare pace con ciò che fu, coniugandolo con il ciò che è. Sulla piazza che cento anni prima vide sparuti uomini mal vestiti, sporchi e laceri, lanciarsi verso l'esperimento politico più artificiale della storia dell'umanità - senza la minima idea di cosa avrebbero fatto nel momento in cui «la vertigine del potere», es schwindelt, si fosse spalancata di fronte all'abissale vuoto che essi stessi avevano creato - plotoni di venditori tentano di piazzare colbacchi con falce e martello alle legioni di turisti, la nuova invincibile armata che sta conquistando il mondo.

La voglia di tenere viva una storia gloriosa
La voglia di tenere viva una storia gloriosa

Ma ridurre tutta la pacchiana rievocazione, che non è una celebrazione perché le immagini sono state supervisionate dal presidente Putin in persona affinché non un grammo di nostalgia ne potesse scaturire, a uno show per i gitanti globali è riduttivo. Si toccano le corde profonde della Russia odierna in quella piazza, e il video show rosso colorato che ricopre la facciata dell'Ammiragliato antistante il Palazzo d'Inverno, ai russi che sono in piazza come quelli che sono a casa, ai nostalgici degli zar quanto ai nostalgici dei soviet, dice una cosa semplice: noi, la nostra storia, fatta anche di errori catastrofici, non la rinneghiamo. Così, anche se il sovietismo è ormai un souvenir come un altro e l'Istituto Smolny da cui partì l'ordine di Trotzkij per prendere i gangli della città, è una delle tante mete turistiche della città, a parlare sui quei muri pare essere il nuovo potere imperiale della Russia, quello che dopo cento anni sembra ancora sconvolgere il mondo al punto di riuscire a condizionare, perfino, le elezioni del presidente statunitense.

Mosca, Piazza Rossa invasa dai magazzini GUM simbolo dell'opulenza
Mosca, Piazza Rossa invasa dai magazzini GUM simbolo dell'opulenza

Di fronte alla tomba mausoleo che accoglie la mummia dell'uomo che cento anni fa prendeva il potere, ed era convinto che la sola ferma volontà umana potesse cancellare lo stato di natura, l'uomo che voleva abolire il denaro, abolire la famiglia, sradicare ogni forma di ascesi religiosa, trasformare tutta l'umanità in una macchina razionale e priva di emotività, ebbene di fronte alla tomba di Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin, stanno montando i mercatini di Natale. Il mausoleo è perfino stato chiuso al pubblico, pagante, per lasciare spazio alle masse post sovietiche in cerca di uno sconto per il regalo natalizio: usanza per altro insolita per un paese di chiara impronta ortodossa. Tra le file si trova il nuovo spirito russo, attratto dalla paccottiglia tutta uguale che viene esposta in tutti i mercatini di Natale del mondo. La straordinaria sensazione di essere immersi dentro un contesto ordinario. E appena dietro le casette danesi globalizzate che fronteggiano il marmo rosso della tomba del capo dei bolscevichi, ecco i cosiddetti magazzini GUM, Glavny Universalnyi Magazin, storico paradiso delle signore costruito ai tempi dello zar Alessandro III, che volle rievocare i fasti parigini delle Galeries Lafayette. Addobbati a festa, coperti di luci natalizie che rendono di notte il Cremlino la seconda attrazione della Piazza Rossa, i Gum sono una sorta di caserma dove i nuovi ricchi russi giungono con tanto di mastodontico Mercedes d'ordinanza. Per entrare si devono passare gli stessi controlli che ci sono in un aeroporto. Dentro è il trionfo delle marche italiane, anzi i magazzini Gum sono letteralmente un pezzo di Italia piantato dentro il cuore della Russia. È il trionfo dell'opulenza, della ricchezza, della potenza di una città che vuole essere la capitale dell'impero russo che si sta ricreando.

Un hamburger da McDonald's? No, grazie
Un hamburger da McDonald's? No, grazie

Qui arrivò il primo camion di carne bovina firmata McDonald's quando ancora sventolava bandiera rossa con falce e martello, qui oggi quel negozio è ormai praticamente invisibile, semi sloggiato, perché simbolo di una cultura che la nuova Russia non vuole più, quantomeno nei suoi luoghi più spettacolari. Chi vuole mangiare l'hamburger più famoso del mondo può sempre andare in qualche bugigattolo piazzato al di fuori delle stazioni della metro che punteggiano l'immensa periferia di ogni città russa, dove le vecchie babushke vendono cinque peperoni a cento rubli, un euro e sessanta centesimi, calze, teste d'aglio, melograni pazientemente sgranati, vecchie stelle rosse casomai passasse un turista in cerca di pezzi d'antiquariato politico. Forse è questo che non tolleriamo di questi strani russi. Questo loro sconcertante nazionalismo che rifiuta i nostri simboli mentre tutto il mondo li consacra. Che non va da McDonald's perché preferisce Teremok, il fast food russo dove si mangiano pelmeni e borsch, non si tracanna Coca Cola ma una bevanda dolciastra e terribile che lascia molta più sete. Mentre tutto il mondo si trasforma negli Stati Uniti Mondiali, la Russia pare voler resistere ben al di là di quanto sia la prospettiva meramente politica. È un tratto popolare, con radici antichissime, conosciuto da sempre, almeno per chi ha avuto la voglia di approfondire questa cultura. Eppure ci sorprende, ci sconvolge, lo viviamo come un pericolo. L'assenza di pubblicità di prodotti globali, in primis la bevanda simbolo della globalizzazione sopra citata, lungo gli infiniti tunnel che scendono verso la spettacolare metropolitana di Mosca, raccontano molto di questo Paese e del suo peccato capitale: straordinariamente accogliente verso coloro che vogliono conoscerlo, incredibilmente duro verso coloro che vogliono conquistarlo.

Una nuova armonia possibile?
Una nuova armonia possibile?

Dalla piazza di San Pietroburgo si va via con una sensazione dolciastra, come la bevanda che fa impazzire i russi ma disgusta - spesso - noi occidentali. Il tentativo, nell'imbarazzante centenario di una rivoluzione che ha deviato la storia dell'umanità - di unire un paese, di tenere insieme, di evitare in ogni modo le tensioni sociali scaturenti da forti, e ovvie, divisioni ideologiche. La ricerca di una strana, e forzatissima finché si vuole, armonia. Tutto questo noi lo guardiamo con sospetto.

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