Russofobia:
l'oscuro disagio dell'occidente

che da oltre mille anni
ci impedisce di vivere in pace

La Gran Bretagna, a pochi giorni dal voto russo, espelle 23 diplomatici e minaccia Mosca. Perché temiamo così tanto la Russia, da sempre

di Maurizio Pagliassotti

L'emblematico caso Skripal
L'emblematico caso Skripal

Le combinazioni della vita, a volte. «La Russia ha risposto con disprezzo e sarcasmo all'ultimatum britannico sul caso Skripal e la sola spiegazione è che lo Stato russo è colpevole». L'ultimatum a cui la diplomazia russa avrebbe risposto con sarcasmo - la frase incriminata è «ricostruzioni da circo» - era il seguente: entro 24 ore la Russia deve dare le prove della sua innocenza per quanto concerne l'omicidio di Sergey Skripal: ora, non è necessario essere dei giuristi per sostenere che si tratta di una frase estranea alla civiltà del diritto e dei livelli minimi di civiltà. Di solito è l'accusa che deve trovare le prove, e successivamente a un processo, dove esiste il diritto alla difesa, giungere a sentenza. Ma quando si parla di Russia, e di Putin, tutte le carte sul tavolo cambiano, e il garantismo occidentale si trasforma in una mediatica giustizia sommaria. Così, con un processo mediatico e istantaneo, il mondo libero rappresentato da Theresa May alla Camera dei Comuni ha annunciato l'espulsione di 23 diplomatici russi per il caso Skripal, il secondo più grande numero di espulsioni nella storia della Gran Bretagna. I diplomatici avranno una settimana per partire, ha detto la premier britannica ai Comuni. La May ha inoltre annunciato di aver revocato ogni prossimo invito o visita del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov in relazione al caso Skripal. Ha inoltre annunciato che non vi saranno delegazioni ufficiali né rappresentanti della famiglia reale ai Mondiali di calcio di Russia 2018. Le elezioni presidenziali russe si avvicinano, e il gioco si fa quindi più duro e, per quanto possibile, sporco.

Da Ivan VI a Putin: il grande nemico
Da Ivan VI a Putin: il grande nemico

Sembra che non possiamo fare a meno di avere un nemico, che la contrapposizione sia la ragione ultima che tiene insieme il vecchio e il nuovo continente, ormai divisi da un guerra culturale ed economica. Il nemico, per altro, è sempre lo stesso: la Russia. Da Ivan IV e la congiura sui boiardi, passando per Alessandro III e la sconfitta di Napoleone, arrivando a Stalin e, infine, buon ultimo, a Putin. Gli uomini della Russia, in ogni caso, hanno deviato in ogni epoca il corso dei secoli e della storia. Forse per questo li temiamo. Graditissimi invece personaggi come Gorbaciov o Eltsin, o l'ultimo zar Nicola II, che del loro paese fecero uno spezzatino messo sul mercato internazionale, acquistato a prezzo stracciato da predoni in cerca di saccheggio. Uomini che hanno, con la loro sventatezza, causato immensi danni al loro popolo. La russofobia ha un tratto comune: non tollera i russi che pensano di essere in un paese indipendente e degno di rispetto. È una prospettiva storica vecchia di mille anni almeno, che commette sempre lo stesso errore: i russi non sono europei che vogliono vivere da occidentali. Da Carlo Magno in avanti nessuno ha ancora accettato questa condizione. I russi, da sempre, vantano valori etico-morali diversi: questa dinamica ci sconvolge al punto tale da vedere in loro in perpetuo nemico.

Il passato che torna
Il passato che torna

A metà settembre il New York Times rivelava l'esistenza di un dossier segreto inerente il doping di stato russo in cui si potevano leggere "prove disponibili insufficienti". Proprio per questo motivo l'agenzia antidoping mondiale ha assolto gli atleti dall'accusa di aver preso parte al programma statale sistematico russo di doping. "Le prove a disposizione erano insufficienti a supportare la violazione delle norme antidoping a carico di questi 95 atleti", ha scritto Olivier Niggli, direttore generale dell'agenzia. Ovviamente questo non significa che il doping non sia presente in Russia, come è evidente che la Russia abbia un servizio segreto che opera al di là della legge in ogni parte del mondo. Ma, la domanda che si pone è molto semplice: le altre potenze, sulle questioni ben più importanti rispetto a quelle sportivo-economiche, si comportano diversamente dalla Russia? Domanda retorica finché si vuole, ma pertinente. Il doping è solo una caratteristica russa, oppure la vicenda Armstrong non insegna nulla? Le spie del Fsu, già Kgb, sono le uniche che operano al di là della morale, oppure la vicenda di Abu Omar non ricorda nulla a nessuno?

Russofobia, mille anni
Russofobia, mille anni

Il disegno è chiaro: in occidente Putin viene ormai spacciato come la reincarnazione di Stalin, o Lenin, o per i più raffinati di Ivan IV. Ricostruzioni ovviamente ridicole, che ignorano il nuovo corso russo, straordinariamente simile all'occidente in termini economici, ma nazionalista. La Russia, da sempre, è un paese nazionalista. Perfino quando fu il faro del comunismo mondiale era nazionalista: è un tratto loro, e che piaccia o no non si può cambiare. Il dissidente russo, e molto controverso, Aleksandr Solženicyn ringraziò l'America per averlo accolto dopo la fuga dai gulag, ma agli statunitensi che gli chiedevano cosa fare dell'Urss, disse subito che la Russia che usciva dalle macerie del comunismo non sarebbe mai potuta diventare una democrazia di tipo occidentale. E nel momento in cui la Russia ha tentato, con la bella coppia Gorbaciov-Eltsin, di fare l'America in casa, circa duecento milioni di persone sono passate dal rigido sistema sovietico all'anarchia criminale. Ma forse era questo l'obbiettivo, e lo è ancora, finale: un paese enorme, ricchissimo, in mano alla mafia anziché allo Stato, è più semplice da saccheggiare. Nel libro dello storico svizzero Guy Mettan «Russofobia. Mille anni di diffidenza» (Sandro Teti Editore) viene posta la domanda fatidica: «Siamo credibili e onesti quando parliamo della Russia?» La risposta dello storico è chiara, e coraggiosa: «No. È in corso un nuovo attacco di isteria antirussa» e della «costruzione del cattivo, ruolo oggi assegnato a Vladimir Putin». Il quale, non abbiamo alcuna ragione di dubitarne, è sicuramente cattivo - che aggettivo infantile - e spietato. Ma quale sarebbe l'alternativa? Perché questa è l'altra domanda che non ci si pone. I russi tale quesito se lo pongono in massa, il popolo come gli intellettuali. Va bene, dicono, facciamo fuori Putin perché è un ex comunista nazionalista amico degli oligarchi: ma dopo? Dopo - continuano - c'è di nuovo la coppia d'oro Gorbaciov-Eltsin. Si può leggere sul Sole 24 Ore del 19 giugno 2016: «Molte vicende, negli ultimi anni, sono state raccontate con una prospettiva molto parziale. L'Occidente definì brutale l'intervento russo in Cecenia, ora che i ceceni si sono dimostrati i più feroci tagliagole che operano in Siria e in Iraq molti analisti convergono nel ritenere che forse Putin ha evitato l'insorgere di un pericoloso califfato nel Caucaso. Allo stesso modo, va riconsiderata la posizione di Putin che, nel 2003, non volle aderire all'operazione per spodestare Saddam Hussein in Iraq, giudicandola avventata. Così abbiamo urlato per la distruzione di Palmira ma poi è toccato ai russi liberarla, come già fecero con il grande tributo di sangue nella lotta al nazismo».

La storia che non finisce e l'equilibrio
La storia che non finisce e l'equilibrio

Qual è allora il fine della nostra russofobia? Che, per altro, è ricambiata in misura frazionale. I media russi sono smaccatamente filo Putin, al limite del ridicolo, ma solo raramente si abbandonano a manifestazioni di anti-americanismo. Per non parlare dell'adorazione esistente per l'Italia, per la nostra cultura, per il nostro mondo. Eppure, la russofobia prosegue, al di là degli interessi economici di tutti, al di là della pace mondiale, messa a repentaglio non si sa nemmeno per quale ragione. Senza prendere coscienza del semplice fatto che il tempo del saccheggio delle ricchezze russe è definitivamente finito. Ed è un bene per tutti, perché ristabilisce un equilibrio globale, in un mondo in cui «la fine della storia» non è mai avvenuta. La russofobia dura da mille anni: non sarà questa generazione che potrà estirpare questa gramigna. Ma contenerla per dare spazio allo scambio e alla fiducia, al benessere comune, è doveroso e soprattutto vantaggioso per tutti. In fondo Napoleone, che non fu russofobico, voleva costringere gli zar ad aprire i mercati russi: ma la storia, come noto, non ha scolari.

Dall'ultimo Zar a Vladimir Putin. I cento anni che hanno sconvolto il mondo

Dentro le contraddizioni di un paese che chiede solo rispetto

Russofobia: l'oscuro disagio dell'occidente che da oltre mille anni ci impedisce di vivere in pace