19 aprile 2024
Aggiornato 08:00
Tycoon pronto a cambiare strategia su Raqqa

Cosa farà Trump con l'Isis, e cosa pensa l'Isis di Trump

Non sono ancora chiari i piani di Donald Trump per sconfiggere l'Isis, ma, almeno su Raqqa, il tycoon si prepara ad azzerare la strategia di Obama

Il presidente Usa Donald Trump.
Il presidente Usa Donald Trump. Foto: Shutterstock

WASHINGTON - Smantellare l'eredità di Barack Obama. Si è presentato agli americani con questa precisa missione Donald J. Trump, e alle urne è stato infine premiato. Ed ora che - da pochissimo - è ufficialmente insediato alla Casa Bianca, ha già dimostrato più volte di voler mantenere la promessa: il ritiro dal TPP, le restrizioni sull'immigrazione, l'annunciata intenzione di dire addio all'accordo sul clima e di rivedere quello sul programma nucleare iraniano. I presupposti perché di Obama rimanga solo un flebile ricordo, insomma, ci sono tutti, e pare che ciò accadrà anche in relazione ai dossier più incandescenti a livello geopolitico: primo fra tutti, la lotta all'Isis. 

Trump: proclami netti, strategie vaghe
In merito a tale questione, si sa, l'approccio di Obama si è dimostrato piuttosto fallimentare, tanto che Trump, in campagna elettorale, ha più volte promesso di essere il Presidente che avrebbe sradicato lo Stato islamico dalla faccia della terra. Certo, quando si trattava di parlare delle strategie, le sue risposte si facevano ben più vaghe e sfumate: spesso ha fatto riferimento all'opportunità di tagliare le fonti di finanziamento dei terroristi, prima fra tutti il petrolio; ma nessun particolare più preciso è mai emerso del famigerato «piano» del tycoon per abbattere l'Isis.

Il rovesciamento della strategia di Obama
Ancora oggi se ne sa molto poco, se non per un elemento: l'intenzione di Trump di ribaltare la strategia messa a punto dall'amministrazione Obama. A partire da Raqqa, la capitale dello Stato islamico, sulla cui liberazione il predecessore del tycoon lavorava duramente da oltre sette mesi.

Il piano di Obama su Raqqa
Non a caso, lo scorso 17 gennaio, a poche ore dall'insediamento di Trump, Obama ha fatto preparare ai suoi collaboratori un documento che riassumeva, a favore della nuova amministrazione, i punti salienti della strategia messa a punto per liberare Raqqa. Un piano che consisteva, sostanzialmente, nell'armare i combattenti curdi nel nord della Siria. Il documento indicava addirittura le modalità con cui Trump avrebbe potuto far ingoiare al «sultano» Erdogan il boccone amaro, visto che i curdi sono considerati dall'alleato turco della Nato i nemici numero uno.

Un piano contro l'Isis in 30 giorni
Forse Obama sperava che la sua mossa «last-minute» avrebbe potuto assicurare una continuità strategica con l'amministrazione Trump; peccato che quest'ultima, secondo le indiscrezioni della stampa, abbia giudicato il piano come colmo di rischi e sostanzialmente inefficace. Sarà ora il team del tycoon, in particolare il titolare della Difesa Jim Mattis, a dover tradurre le finora bellicose ma vaghe affermazioni di Trump sullo Stato islamico in un vero e proprio piano strategico. Intanto, il Presidente ha dettato le tempistiche: il tutto dovrà essere pronto in 30 giorni.

Ma cosa pensa l'Isis di Trump?
Ma se ancora non è chiaro il piano d'azione di Trump contro l'Isis, più «facile» capire cosa pensa l'Isis di Trump. All'indomani dalla sua elezione, alcuni follower e supporter del gruppo jihadista hanno «predetto» che la sua elezione avrebbe costituito l'inizio della fine degli Stati Uniti. Uno di questi profili, intitolato a un certo Khorasani, ha interpretato la vittoria di Trump come una sorta di «giustizia poetica», perché gli «insulti» del Presidente contro i musulmani avrebbero costituito l'inizio di un «riscatto», rinfoltendo le fila dei seguaci del jihad e attestando, peraltro, l'ignoranza statunitense.

Per l'Isis Trump rafforzerà la causa del jihad
I supporter dell'Isis sembrano convinti che le politiche di Trump finiranno per accelerare il tanto agognato declino della superpotenza, spalancando la strada alla vittoria del fondamentalismo islamico. Questa, almeno, è la lettura che emerge dalle analisi dei media mainstream su alcuni profili legati a gruppi islamici. «La vittoria di Trump è un prepotente schiaffo a coloro che promuovono i benefici del meccanismo democratico», avrebbe scritto, secondo il Washington Post, Hamza al-Karibi, portavoce del gruppo jihadista siriano Jabhat Fatah al-Sham (attualmente, il suo account Twitter risulta sospeso). A rallegrarsi della vittoria di Trump anche Abu Muhammad al-Maqdisi, ideologo jihadista legato ad Al Qaeda, suggerendo che potrebbe costituire l'inizio della «frammentazione dell'America e del tempo del suo collasso».

Il guanto di sfida di Trump
Gli esempi, però, si sprecano. Solo pochi giorni fa, quello che viene considerato un alto dirigente del Califfato che su Twitter si firma «Cinguettio dell'Isis» ha scritto un lungo messaggio dedicato al «muslim ban», che ha interpretato - insieme all'ordine presidenziale di annientare Daesh in 30 giorni - come il «guanto di sfida» di Trump contro l'Isis. «Trump pianifica forse l'invio di truppe via terra?», si chiede. «Progetta di intensificare i raid aerei, che saranno sempre più barbari?». E poi la profezia: dopo il bando di Trump, saranno sempre di più i giovani musulmani delle periferie europee e occidentali, prima ancora di quelli che vivono nei Paesi islamici, a volersi arruolare nell'Isis. Al punto che il dirigente in questione ringrazia esplicitamente il tycoon «per questo divieto benedetto», proprio come, nel 2003, Abu Musab Al Zarqawi, stratega della Jihad, ringraziò l'America per l'«invasione benedetta» dell'Iraq. Quella guerra che, predisse (a ragione) Al Zarqawi, avrebbe apportato nuova linfa al jihad.

L'analisi della stampa mainstream coincide con quella dell'Isis
Sul piano propagandistico, insomma, l'Isis sembra aver accolto positivamente la presidenza di Trump, considerato, per le sue dichiarazioni politicamente scorrette nei confronti dei musulmani e le sue recenti mosse politiche quantomeno «avventate» sul tema, colui che potrà rinvigorire la causa del jihad, in un momento in cui, peraltro, l'Isis sembra arretrare tanto sul terreno, quanto a livello propagandistico. Una narrazione a cui i media mainstream, largamente «allergici» a Trump, si mostrano compiacenti, perché utile ad allungare la lista di argomentazioni a suo sfavore.

L'imprevedibilità di Trump spaventa l'Isis
Non a caso, all'indomani dal «muslim ban», sono stati numerosi gli esperti e gli analisti che hanno profetizzato un rinvigorimento dell'islamismo radicale e un aumento di adesioni a seguito del provvedimento del tycoon. Previsione che, intendiamoci, potrebbe avere fondamenti logici, ma che manca di approcciare la questione in maniera completa e disincantata. Perché, al di là dei proclami «pubblicitari» dell'Isis, è pur vero che lo Stato islamico si trova oggi a dover fare i conti con un Presidente ben più imprevedibile di Barack Obama.

Obama conciliante nei toni, inefficace nelle azioni. L«incendiario' Trump?
Il quale, nonostante la retorica conciliante nei confronti dei musulmani volta a limitare al minimo le tensioni sociali e le strumentalizzazioni, si è però dimostrato, sul campo, poco efficace nel colpire i terroristi con risolutezza. La «disattenta» compiacenza americana per le Primavere arabe, il rocambolesco intervento in Libia, l'ostinazione, in Siria, ad armare ribelli «moderati» più di nome che di fatto hanno finito per alimentare la scintilla del jihadismo sul terreno, con i risultati tristemente noti. Se dunque la retorica incendiaria di Trump potrebbe non aiutare, è possibile però che, più in concreto, le sue azioni saranno ben più temibili per l'Isis di quelle del suo predecessore.