Caso Abu Omar, si difende l'ex agente CIA condannata in Italia
Sabrina de Sousa nega ogni ruolo nella rendition dell'imam. Per la giustizia italiana, la donna partecipò alla nella definizione del piano di rapimento, ma non vi prese parte. A differenza degli altri agenti, inoltre, lei ha rifiutato di rimanere anonima
WASHINGTON - Una ex agente della Cia condannato in Italia per aver partecipato, nel 2003, al sequestro dell'imam Abu Omar, respinge tutte le accuse, difendendosi pubblicamente per la prima volta. In un'intervista al Washington Post, Sabrina de Sousa, 56 anni, nega di aver avuto alcun ruolo nel sequestro dell'imam, rapito il 17 febbraio 2003 a Milano, in un'operazione congiunta dei servizi di intelligence Usa e italiani, e trasferito in Egitto, dove venne torturato nell'ambito della pratica delle rendition (detenzioni illegali) adottata nella lotta al terrorismo.
La condanna della giustizia italiana - Nel 2009 una corte italiana ha condannato De Sousa e altri 22 agenti Cia a pene detentive tra i sette e i nove anni di prigione. Per la giustizia italiana, la donna partecipò alla nella definizione del piano di rapimento, ma non vi prese parte. A differenza degli altri agenti, inoltre, lei ha rifiutato di rimanere anonima.
Nell'intervista, pubblicata alla vigilia della pronuncia della Cassazione, De Sousa ha ricordato che era un agente di basso livello, negando ogni ruolo nella rendition: «Io non posso alzare il telefono, chiamare Washington e dire: 'Hey, mandatemi un aereo!' Chi può ordinare un aereo come quello? Deve essere il Dipartimento della Difesa, il capo della Cia, il capo del dipartimento di Stato», ha sottolineato l'ex agente, dopo le dimissioni del 2009. Tuttavia, De Sousa si è rifiutata di dire se fosse a conoscenza dell'operazione.
Oggi la donna è furiosa con la Cia e il Dipartimento di Stato per non averla protetta. Nel 2009 ha perso una causa intentata contro lo Stato per non aver invocato l'immunità diplomatica a sua favore e l'appello è ancora in corso: «Ufficialmente io ero un diplomatico, questo è tutto quello che posso dire. Ma quando diplomatici o militari corrono dei rischi, ti aspetti che il tuo governo ti aiuti». Nel 2008, la Cia le fece sapere che «attività di intelligence non sono coperte da immunità diplomatica».