12 ottobre 2025
Aggiornato 09:00
Intervista a Vanity Fair

Suha Arafat: «Gheddafi rispettava le donne»

«Si circondava di donne per dimostrare la loro forza, la loro capacità di combattere. Le rispettava, era gentile con loro. Ma questo l’Occidente non lo ha capito»

MILANO - «Se aveva colpe, era giusto che pagasse. Ma bisognava catturarlo e affidarlo alla giustizia, non ucciderlo come un cane: persino Saddam, prima di essere impiccato, ha avuto un processo e la possibilità di difendersi. E poi, accanirsi sul suo cadavere, che barbarie. Se anche un uomo si è macchiato dei delitti più atroci, la sua morte merita rispetto».

Esordisce così, Suha Arafat – quarantottenne vedova di Yasser, fondatore dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) - all'intervista con Vanity Fair in edicola il 26 ottobre. Lo conosceva grazie al marito, anche se i rapporti tra i due leader – per via di un modo molto diverso di concepire il futuro del popolo palestinese – furono a lungo burrascosi. Il riavvicinamento iniziò nel 1992, quando l’aereo di Arafat, investito da una tempesta di sabbia, precipitò in Libia, lui si salvò per miracolo e Gheddafi gli rimase vicino per giorni in ospedale. Alla morte di Yasser, poi, il leader libico organizzò in suo onore una grande cerimonia, intitolandogli una via centrale di Tripoli. Lei ricambiò andando a trovarlo nella sua tenda a Roma, nel 2009, quando Muammar Gheddafi venne a firmare il trattato di amicizia con Berlusconi.

Sono passati due anni, sembrano due secoli. «Vedendo l’orrendo pellegrinaggio davanti al suo cadavere, ho detto a mia figlia che deve essere orgogliosa di suo padre perché lui non è mai stato odiato dal suo popolo. Al contrario: c’è ancora gente che lo piange».

Gheddafi doveva immaginare che sarebbe finita così, eppure non è scappato. «Di questo bisogna dargli atto. Può aver avuto metodi non condivisibili, ma era un uomo fiero, un vero leader, e si è molto speso – con le idee e con i soldi – per l’Africa».

Lei come è diventata sua amica? «Non è un’amicizia personale, ma legata al rapporto che aveva con mio marito. Il fatto di avermi invitato a quella cerimonia, quando Yasser è morto, l’ho ritenuto un grande segno di rispetto».

Si dice che il raìs amasse molto le donne. «Sì, ma non nel modo che pensate voi. Le amava in quanto icone, gli piaceva che fossero forti. Non dimentichi che teneva sua madre in grandissima considerazione, la consultava prima di ogni conflitto. Si circondava di donne – come le amazzoni guardie del corpo – per dimostrare la loro forza, la loro capacità di combattere. Le rispettava, era gentile con loro. Ma questo l’Occidente non lo ha capito».