Joe il senatore sempre in corsa
Alla vigilia del voto, i riflettori dei media di tutto il mondo sono puntati sui due quartier generali di Chicago (democratico) e Denver (repubblicano)
Ci siamo, la più avvincente, entusiasmante e costosa campagna elettorale per la Casa Bianca è ormai agli sgoccioli. Alla vigilia del voto, i riflettori dei media di tutto il mondo sono puntati sui due quartier generali di Chicago (democratico) e Denver (repubblicano), dove martedì notte si raduneranno in migliaia , pronti a far festa ed esplodere di gioia in caso di vittoria.
Non che Obama e McCain fossero stati trascurati dai giornali di mezzo mondo, riempendo quasi quotidianamente le prime pagine delle più importanti testate con le loro dichiarazioni. Anche la Palin, la cosiddetta American mom, ha avuto (per sua sfortuna) l'opportunità di farsi conoscere al mondo. Ora anche a Singapore sanno che ha speso centocinquantamila dollari per rifarsi un guardaroba adeguato per una campagna cosi lunga e che è una esperta di politica estera data la strategica posizione geografica dell'Alaska, stato di cui è Governatrice.
All'appello degli attori principali manca però il nome di Joe Biden, candidato democratico alla vicepresidenza. E' infatti dallo scorso due ottobre, ovvero dalla sera del faccia a faccia con la sua controparte repubblicana, che il senatore democratico ha abbandonato il jet set politico americano, viaggiando da un paesino all'altro a raccogliere voti, piuttosto che sorridere agli scatti dei fotografi per ricoprire le copertine dei magazine americani.
La domanda che in molti (americani e non) si sono giustamente posti è «Where is Joe?«(Dov'è Joe?). Che fine ha fatto il senatore del Delaware?A parte una breve interruzione della campagna dovuta a motivi personali, la scomparsa di un parente prima e lievi problemi fisici poi; Joe si è dato un gran da fare per il ticket democratico. Lui che di elezioni a cui pensare ne ha due (anche se di diversa portata ed importanza), deve infatti difendere il suo seggio senatoriale in Delaware dalla giovane e vivace candidata repubblicana Christine O'Donnell; una sorta di Palin in miniatura che approfittando del doppio impegno del rivale lo attacca regolarmente di scarso interesse per il suo collegio ed i suoi concittadini.
Nel frattempo, lui, Joe, non l'idraulico ma il senatore, ha attraversato gli States in lungo e in largo, spostandosi da una costa all'altra, battendosi per la causa democratica. Con l'attenzione mediatica tutta concetrata sul fenomeno Obama e sulla curiosità di scoprire quale sarà l'ultima della Palin, Joe ha deciso di optare per un low profile. Si sposta da una piccola cittadina all'altra (tutte in stati fondamentali), evita di rilasciare interviste ai media locali, concentrandosi invece sui giornali e radio locali ( finora ha fatto oltre duecento interviste). Il suo entourage è minimo, gli inocntri avvengono in posti inusuali, le folle alle sue manifestazioni sono irrisorie rispetto ai duecentomila di Obama in Missouri. Tuttavia l'entusiasmo che il vecchio Joe riesce a trasmettere tra i suoi supporter, diversi da quelli di Obama, in questo caso si tratta solitamente di persone più adulte e schierate politicamente.
Il senatore Biden, da sempre un personaggio di primissimo piano dell'asinello, rappresenta il link con l'organizzazione del partito e ha la funzione di rassicurare l'establishment dei poteri Statunitensi. Joe sta svolgendo bene il compito assegnatogli: bilanciare in termini sociali e razziali l'accoppiata presidenziale in un elezione in cui proprio queste due questioni hanno un importanza notevole.
Nel descrivere la quiete del senatore Biden, un altro elemento va poi considerato, ovvero la piena fiducia da parte dell'intero partito e dello stesso Obama nei suoi confronti. Joe è lasciato libero di girare e fare quello che fa da anni, che è quello che gli viene meglio: curare le relazioni all'interno del partito e convincere gli americani a votare per l'asinello. Dall'altra parte, invece, la stessa libertà non viene concessa alla Palin. Il timore che inceppi nell'ennesima gaffes, obbliga il buon vecchio McCain a farle da balia, seguendola nelle diverse uscite pubbliche. Sempre sulla sponda repubblicana va inoltre segnalata la scesa in campo del governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che durante un evento in Ohio ha affiancato il duetto presidenziale. I muscoli di Schwarzenegger dopo il sorriso della Palin? D'altronde cosa non si farebbe per conquistare un voto.
Il vecchio Joe, invece, è un politico particolarmente corretto: non si avventa mai nel giardino altrui, ne tantomeno è artefice di discordie. Al suo seguito non ci sono gli inviati di tv e giornali di mezzo mondo come nel caso di Obama, McCain e Palin. Secondo alcuni analisti politici americani, sarebbe proprio questo uno dei motivi (se non quello principale) per cui Obama abbia scelto Joe anziché Al Gore(inizialmente tra i maggiori indiziati alla carica di vice), figura per certi versi molto più simile a quella di Obama, ma il cui carisma (e premio Nobel) avrebbe forse potuto oscurare il candidato alla presidenza.
La grave crisi economica mentre da una parte scuote nel profondo la società statunitense, dall'altra accresce una diffusa domanda di cambiamento, che viene intercettata dalla carismatica personalità di Obama. Il senatore dell'Illinois sta calamitando intorno a se sempre maggiori consensi tra gli elettori e sostegni fra esponenti democratici ma anche repubblicani Mentre questo clima di cambiamento sembra diffondersi a macchia d'olio e i sondaggi spingere Obama verso lo Studio Ovale, si assiste ad un fenomeno che solitamente affianca i grande duelli: la salita sul carro del vincitore.
Oltre all'enforcement proveniente dalla sponda repubblicana che ha visto schierarsi con Obama nell'ordine il segretario di Stato Colin Powell prima, Ron Reagan e Kenneth Duberstein poi, rispettivamente figlio e capo Staff di Reagan; quest'ultimo sprint finale ha visto la discesa in campo dell'intera famiglia Clinton, del premio Nobel Al Gore e del Sen. Kerry (candidato democratico alle scorse presidenziali), tutti impegnati in manifestazioni (senza Obama) in diversi stati, ma con un unico scopo: convincere gli americani a voltare pagina.
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