1 aprile 2023
Aggiornato 04:00
Moda

Versace diventa americana, ma è lunga la lista dei brand della moda italiana finiti in mani straniere

Il brand di casa Versace passa in mani americane. Ma non è il solo pezzo di made in Italy della moda che perdiamo

Donatella Versace
Donatella Versace Foto: Flavio Lo Scalzo | ANSA ANSA

MILANO - C’è chi parlava di una comunicazione ufficiale martedì, giorno in cui Donatella Versace ha convocato i dipendenti, e invece l'annuncio è arrivato prima: Versace è stata venduta al gruppo Michael Kors. Già fonti del Corriere della Sera sull’onda di rumors che stavano rimbalzando tra Londra e Zurigo lo aveva anticipato. Michael Kors, il designer americano che un anno fa aveva comprato per quasi 900 milioni di sterline (circa 1 miliardo di euro ai cambi dell’epoca) il produttore di scarpe Jimmy Choo, ora fa cassa anche con l'italianissima Versace. Qualcuno aveva anche fatto il nome di Tiffany, il gruppo della gioielleria in fase di rilancio che ha al suo vertice due esperti di Italia come il ceo Alessandro Bogliolo e l’azionista Francesco Trapani (ex Bulgari e Lvmh), anche se sembrava al momento concentrata sulle proprie potenzialità ancora inespresse. In questi mesi molti hanno studiato il dossier Versace, in primo luogo i grandi colossi del lusso francese, ad esempio la Kering di François Henri Pinault, ma i contatti non avevano portato a nulla di concreto. La società della Medusa è stata comprata per 2,12 miliardi di dollari (oltre 1,8 miliardi di euro ai cambi attuali). 

L'assetto della holding
Non è chiaro, al momento, se la famiglia Versace rimarrà come socio di minoranza e Donatella Versace come direttrice creativa. Il fondo Blackstone, che attualmente detiene il 20% della maison, dovrebbe uscire dalla società. Versace è controllata per l'80% da Givi, una holding la cui maggioranza (50%) è nelle mani di Allegra Versace Beck, il 20% in quelle di sua madre Donatella, direttrice dello stile, e il 30% in quelle dello zio Santo Versace, che aveva fondato l'azienda insieme al fratello designer Gianni nel 1978. Lo zio Gianni, morto assassinato a Miami nel luglio del 1997, lasciò la maggioranza ad Allegra. Nella società operativa, la Gianni Versace spa, è presente con il 20% il fondo americano Blackstone che aveva rilevato la partecipazione nel febbraio del 2014, valutando la società 1 miliardo di euro, con l'obiettivo di quotarla in Borsa. L'arrivo sul mercato era stato avviato dall'ex ad Gian Giacomo Ferraris (oggi ceo della Roberto Cavalli), ma si era fermato quando Ferraris due anni fa è stato sostituito da Jonathan Akeroyd (ex ceo McQueen). In un'intervista al Corriere il manager inglese aveva annunciato l'intenzione di arrivare al miliardo di euro di ricavi "nel breve termine" spiegando che dopo il 2016, anno di transizione con ricavi a 686 milioni di euro (+4%) e un rosso di 7,4 milioni, nel 2017 la casa della Medusa è tornata all'utile per 15 milioni di euro. Nei prossimi giorni, comunque, si dovrebbe scoprire il futuro di Versace.

Gli altri brand che hanno scelto Parigi
La maison Versace passerà dunque in mani americane, ma è lunga la lista dei marchi della moda italiana finiti all’estero. Direzione prescelta: Parigi. Lvmh ha acquisito numerosi simboli del Made in Italy come Bulgari, Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci. Ma non solo moda: il colosso francese del lusso possiede anche Acqua di Parma e Cova, lo storico caffè-pasticceria di via Montenapoleone. Risale al 1999, invece, l’acquisizione del 42% di Gucci da parte del colosso francese Pinault-Printemps-Redoute (oggi Kering), a cui fanno capo anche le italiane Bottega Veneta, Brioni e Pomellato. Matrimonio francese con Essilor anche per il big dell’occhialeria Luxottica.

Qatar, Cina, Olanda e...
La maison Valentino dal 2012 è in mano alla società del Qatar, Mayhoola for Investment, riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani. Krizia è finita sotto il controllo della cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion. Coccinelle, il brand di borse e piccola pelletteria, è stato acquisito dal retailer coerano E-Land. Il marchio di lingerie La Perla è controllato dalla società d’investimento olandese Sapinda Holding. La Yoox (poi Yoox Net-A-Porter) dell’imprenditore Federico Marchetti fa oggi parte della multinazionale Richemont. In direzione Usa è andato invece un altro marchio del Made in Italy: Poltrona Frau nel 2014 è stata venduta al gruppo Haworth, con sede a Holland (Michigan). Fuori dal comparto della moda, negli Stati Uniti è andata anche l’azienda Ntv-Italo, venduta lo scorso febbraio al fondo Global Infrastructures Partners.

Storie italiane di successo
A questo punto la domanda sorge spontanea: il Belpaese è ancora in grado di accogliere nuove generazioni di imprenditori capaci di veicolare nel mondo l’Italian style? Verrebbe da dire di no, e invece, a sorpresa, c'è una (seppur ristrettissima) nuova generazione rispetto ai padri fondatori del ready-to-wear italiano che sta traghettando il loro sapere nel futuro, convinta della necessità di recuperare e tramandare la nostra eccellenza manifatturiera e stilistica e diffonderla in tutto il mondo. In Italia hanno trovato l’eccellenza artigianale e un terreno produttivo fertilissimo, esattamente lo stesso che ha fatto grande Armani, Valentino, Prada, favorito da una peculiarità tutta nostra: il localismo. Questi giovani imprenditori producono local per vendere global. Sono espressione di un’Italia che parte dalla forza e dal potere delle mani per poi arrivare a dialogare con tutto il mondo. Li accomuna l’eccellenza della materie prime, la produzione 100% italiana ma anche un metodo improntato all’innovazione, pur nel rispetto delle tradizioni e del nostro saper fare. Qualche nome? Paula Cademartori, brillante designer di borse basiliana, che dice: «Per il 98% duro lavoro e solo per il 2% glamour», Casamadre, che produce scarpe di altissima qualità, Benedetta Bruzziches, che ha ripreso antiche tecniche di lavoro locali e chiama i suoi artigiani «artigianauti», artigiani e naviganti dei sogni. Insomma, non tutto è perduto.