19 aprile 2024
Aggiornato 14:00
Zootecnia

Maiali «sfrattati» dalle importazioni di carne dall'estero, addio prosciutti DOP (-10%)

E' la Coldiretti a lanciare l'allarme sul futuro di uno dei settori di punta della produzione agroalimentare nazionale dove trovano occupazione 105mila presone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione, ora in pericolo

ROMA - Solo nell'ultimo anno sono scomparsi in Italia 615mila maiali «sfrattati» dalle importazioni di carne dall'estero per realizzare falsi salumi italiani di bassa qualità, con il concreto rischio di estinzione per i prelibati prodotti della norcineria nazionale, dal culatello di Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma, la cui produzione è calata del 10 per cento dall'inizio della crisi nel 2008.

E' la Coldiretti a lanciare l'allarme sul futuro di uno dei settori di punta della produzione agroalimentare nazionale dove trovano occupazione 105mila presone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione, ora in pericolo.

In Italia nel 2013 sono allevati, secondo i dati Coldiretti, meno di 8,7 milioni di maiali (erano 9,3 milioni nel 2012) destinati per il 70 per cento alla produzione dei 36 salumi che hanno ottenuto dall'Unione Europea il riconoscimento di denominazione di origine (Dop/Igp). Il settore della produzione di salumi e carne di maiale in Italia, dalla stalla alla distribuzione, vale 20 miliardi.

La chiusura forzata degli allevamenti è stata causata dall'impossibilità di coprire i costi di produzione per i bassi prezzi provocati dalle importazioni dall'estero di carne di bassa qualità per ottenere prosciutti da «spacciare» come Made in Italy per la mancanza dell'obbligo di indicare in modo chiaro in etichetta la provenienza. In Italia due prosciutti su tre oggi provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta.

Un inganno per i consumatori e un danno per gli allevatori italiani impegnati a rispettare rigidi disciplinari di produzione per realizzare carne di altissima qualità che da mesi non viene neanche più quotata. I macellatori disertano infatti l'apposita commissione prevista alla «Borsa del maiale» di Mantova dove viene fissato ogni giovedì il prezzo di riferimento nazionale. Il blocco favorisce le speculazioni e mette a rischio il futuro del maiale italiano che ha caratteristiche e soprattutto alimentazione nettamente migliore rispetto ai prodotti che invadono il mercato dall'estero. Senza un prezzo di riferimento le aziende non sanno come muoversi ed il rischio per gli allevatori è quello di rimanere incastrati nel gioco al ribasso del mediatori che sottopagano il prodotto e spingono alla chiusura degli allevamenti.