23 aprile 2024
Aggiornato 14:30
Referendum

A Mirafiori vince il sì, la politica: Fiat rispetti gli impegni

Da Governo e maggioranza impegno per le richieste dei lavoratori. Vendola-Di Pietro attaccano Marchionne. Più vicini Pd-Terzo polo

ROMA - A Mirafiori ha vinto il sì all'accordo proposto da Sergio Marchionne per il rilancio della fabbrica torinese ma non è una vittoria schiacciante. Il 54 per cento, condizionato dal voto degli impiegati, infatti, mostra il malcontento di una grossa fetta degli operai, anche per questo dalla politica arriva un invito alla Fiat a mantenere gli impegni presi e, in particolare dal Pd, a cercare di riaprire il confronto con tutte le parti sociali.

E' per primo il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi a rivolgersi al Lingotto per chiedere conferme: «Si apre una fase che deve concretamente condurre all'investimento promesso dall'azienda - ha detto -. Noi saremo impegnati per questo obiettivo perché di tratta di un investimento importante e decisivo nel segmento delle auto a maggiore valore aggiunto». Toni simili vengono usati anche da altri due esponenti della maggioranza, come Fabrizio Cicchitto: «E' indispensabile che l'azienda abbia l'intelligenza e la lungimiranza di riassorbire il dissenso comunque manifestato da una quota significativa degli operai», e Sandro Bondi: «Il governo ha il dovere di non lasciare soli i lavoratori, sostenendo le richieste delle sigle sindacali più responsabili, e spingendo la Fiat a onorare gli impegni presi».

Mentre il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, preferisce puntare l'accento sulle divisioni nell'opposizione: «Da Mirafiori viene la conferma che chi lavora ha capito quanto stiano cambiando le relazioni industriali. Ma una buona parte della sinistra e del sindacato, legati a vecchi schemi, devono ancora capire quanto sia profondo questo cambiamento».

La vittoria del sì permette al Pd di superare le divergenze interne registrate nelle settimane passate, tra chi era apertamente a favore dell'accordo e chi invece contrario, e quindi il segretario Pier Luigi Bersani può serenamente affermare che «il risultato del referendum va rispettato, anche per quel tanto di disagio che rappresenta». «Ora la Fiat - ha detto ancora il leader Pd - mantenga gli impegni e si rivolga a tutti i lavoratori. Le forze sociali e anche quelle politiche si occupino di lavorare su un obiettivo preciso e chiaro entro i tempi di attivazione dell'accordo, si facciano nuove regole per la rappresentanza, la rappresentatività e la partecipazione».

Sul tema Fiat si materializzano anche le compatibilità tra potenziali alleati. Se infatti Vendola e Di Pietro vanno decisamente all'attacco di Marchionne, dal terzo polo di Fini, Casini e Rutelli sono venute considerazioni molto più vicine a quelle di Bersani.
«L'amministratore delegato del Lingotto deve riflettere perché se pensa di scaricare il prezzo della crisi e della competizione sulle spalle di chi guadagna a malapena mille euro al mese, sta facendo i conti senza l'oste», ha avvertito Nichi Vendola. Toni simili a quelli usati dal leader di Idv, Antonio Di Pietro, secondo il quale «l'esito clamoroso del referendum dimostra chiaramente che, pur sotto ricatto, non esiste il consenso per far funzionare l'azienda perché sono stati calpestati i diritti di chi concretamente lavora per costruire le automobili».

Il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, ha osservato invece che quel risultato manda un «doppio messaggio»: da un lato, «siamo disponibili a fare sacrifici perchè la produttività è un valore», ma alla Fiat e a Marchionne si dice «attenzione, non tirate troppo la corda, perchè stiamo facendo e faremo sacrifici pesanti». «Per tutelare i diritti dei lavoratori le fabbriche devono essere aperte. Senza lavoro non possono esserci diritti», ha ricordato il presidente della Camera, Gianfranco Fini.