Santo Versace: «Rilanciare Biella e Prato per contenere il debito pubblico»
Intanto va avanti la sua richiesta a Napolitano per Giorgio Armani senatore a vita
Le tensioni che in queste ore fibrillano la vita del governo non sono di natura accademica, né tantomeno scaturiscono da uno scontro di potere. All’origine della disputa intorno al ministro dell’Economia c’è il tipo di strategia che il governo deve adottare per uscire definitivamente dalla crisi e rilanciare l’economia. Il confronto è fra due tesi molto difficili da conciliare.
A sostenere una manovra fondata su un taglio significativo delle imposte che gravano sulle imprese e su un largo sostegno ai consumi c’è un largo schieramento al quale aderisce la stragrande maggioranza dei ministri provenienti da Forza Italia e da Alleanza nazionale, i quali possono contare sulla benedizione di Gianfranco Fini e sulle simpatie manifestate dal premier con l’annuncio a sorpresa della riduzione dell’Irap.
Contro il partito della spesa ha invece innalzato un muro il ministro dell’Economia che ha dichiarato a chiare lettere di non essere disposto a mettere la sua firma sotto piani economici che possono mettere a repentaglio la spesa pubblica.
TENSIONI NELLA MAGGIORANZA - Ora c’è da chiedersi come mai Bossi, che finora ha ottenuto tutto quello che voleva da Berlusconi, abbia invece deciso di arrivare con il premier ad uno scontro aperto dalle conseguenze incalcolabili.
«L’Europa ci punirebbe» ha spiegato Bossi, disseminando le tribolazioni governative di queste ultime ore di ulteriori interrogativi, dal momento che questo improvviso timore per le eventuali rimostranze europee contraddice lo storico scetticismo della Lega, spesso condito anche da un esplicito menefreghismo, per tutto quello che viene da Bruxelles.
La spiegazione l’ha data il ministro Calderoli: «Tagliare l’Irap non si può, le agenzie di rating sono pronte a colpirci» ha detto in una intervista rilasciata a Repubblica.
Il perché la spada di Damocle del giudizio delle agenzie di rating sia dirompente fino al punto da mettere in discussione la vita di un governo che allo stato attuale non ha avversari bisogna cercarlo in quel Dna della Lega che si chiama «federalismo fiscale».
La madre di tutte le riforme nel cuore dei leghisti è stata infatti colta dalla crisi a metà del guado: un aumento dell’ammontare degli interessi che lo Stato paga a sostegno del debito, per carenza di fondi, farebbe infatti saltare il banco perlomeno per la parte che riguarda l’introduzione del federalismo fiscale.
Per Berlusconi l’applicazione di questa riforma può anche subire qualche ritardo. Per gli ex di An e per il partito del Sud addirittura il federalismo fiscale più tardi arriva e meglio è. Ma per Bossi vorrebbe dire far restare ancora una volta a bocca asciutta il suo popolo e questo non può accettarlo.
BUROCRAZIA - E’ difficile dire come il governo uscirà dall’angolo in cui si è cacciato, ma si può dire fin d’ora che l’impostazione del problema è sbagliata, se la contesa vede al centro del ring unicamente un supposto partito della spesa opposto ad un supposto partito dell’equilibrio di bilancio.
Il sistema non si rilancia infatti solo lasciando aperti i rubinetti della spesa. La macchina produttiva italiana ve oleata, rimodernata, alcuni pezzi di ricambio sostituiti, ma non necessariamente a colpi di debito. Ci sono incrostazioni, burocrazie, devianze, per la cui rimozione non è richiesto alcun investimento eppure rimangono inspiegabilmente lettera morta.
Basterebbe prestare più attenzione a quello che avviene nell’economia reale, nella vita di tutti i giorni, nelle vicende che si agitano nei settori produttivi, nei distretti, nelle singole aziende.
Vale per tutti quello che sta succedendo in una delle vecchie capitali mondiali del tessile, la piemontese Biella, alle prese con un declino industriale che non dipende solo dalla crisi, ma anche dall’ottusità delle istituzioni, sorde ai richiami di chi sul territorio difende ancora con tutte le forze, ma a mani nude, quella materia prima che si chiama «made in Italy».
BIELLA METAFORA DELL'ITALIA - Venerdì della scorsa settimana Irene Rigola Boglietti, un’imprenditrice presidente della sezione dei Lions » Biella Bugella Civitas» ha impiegato tutte le capacità organizzative di cui dispone per affrontare il «problema Biella» con le massime autorità locali, davanti ad un ospite eccezionale, sia per il ruolo attuale, è il neo presidente di Altagamma, sia per quello che il suo nome rappresenta nella recente storia del made in Italy.
Versace ha parlato da uomo delle istituzioni, è anche deputato del Pdl, ma soprattutto da uomo-azienda.
Davanti ad un pubblico glamour nella forma, ma ruvido e pratico nella sostanza, come sanno essere i piemontesi, Versace ha parlato di cose che conosce a menadito; di una concorrenza globale giocata al ribasso, dove il Vietnam, nella corsa al ribasso dei costi della manodopera, sta soppiantando la Cina; di multinazionali del lusso americano che oggi usano i negozi nelle zone eleganti come specchietto per le allodole a favore degli outlet, dove fanno pagare un camicia che apparentemente costava cento dollari al prezzo ribassato di cinquanta dollari, per la gioia dei consumatori, i quali però sono inconsapevoli che il prezzo giusto per quel capo di abbigliamento, per il materiale scadente con il quale è stato prodotto in una lontana regione della Cina, dovrebbe essere si e no di cinque dollari.
Versace, applauditissimo, ha ricordato dei sacrifici della sua famiglia prima dell’affermazione. Ha rivendicato, oltre al talento di suo fratello Gianni, la volontà, l’amore per il lavoro che hanno fatto da supporto a quel successo. Poi ha confermato di avere scritto al presidente della Repubblica per candidare come prossimo senatore a vita, Giorgio Armani. «E’un riconoscimento che idealmente coinvolgerebbe anche la memoria di Gianni» ha spiegato.
Poi per non smentire le sue origini e la sua libertà di pensiero ha concluso dicendo che il paese ha bisogno di rivalutare il lavoro manuale. Infine ha lanciato questo monito: «Se volete ottenere qualche risultato utile per la comunità – ha detto- voi che siete la società civile, ai politici dovete far sentire forte la vostra voce».
ETICHETTATURA - E’a qual punto che un signore del pubblico non più giovanissimo, portamento alla Cary Grant e doppio petto gessato da fare invidia al fu Avvocato, ha chiesto la parola, è andato alla tribuna e ha snocciolato quello che è il problema di quella che ancora oggi viene considerata la patria mondiale del lanificio: a Biella, ha denunciato Luciano Barbera, industriale e titolare di un lanificio storico, chi difende con la qualità il «made in Italy» rischia di dover chiudere bottega strozzato da una concorrenza che fa produrre a basso costo all’estero, ma poi ai suoi capi può appiccicare un’etichetta mendace «fatto in Italia», grazie ad una legge che sembrava avesse chiuso le porte a questa contraffazione mascherata e invece le ha subito riaperte consentendo il marchio che dovrebbe fare la differenza anche a prodotti non genuini purché »prevalentemente» di origine italiana.
Santo Versace ha ascoltato attentamente. Poi ha annunciato di avere raccolto in Parlamento 150 firme bipartisan per eliminare gli effetti deleteri derivati al made in Italy da quel «prevalentemente».
«Ma con un po’ di tempo in più avremmo potuto raccoglierne anche 450 di firme» ha poi aggiunto Versace, per rassicurare i biellesi che tutto il mondo politico è d’accordo che il»made in Italy» va difeso denunciando senza ambiguità o fraintendimenti la provenienza dei capi.
Luciano Barbera non si scomposto nel suo gessato,ha fatto un cenno di ringraziamento a Versace, ma poi da buon piemontese, ha voluto toccare con mano, ed ha chiesto: «Ma siamo sicuri che nonostante questo favore generale questa modifica alla legge sarà votata dal Parlamento?»
Versace non ha risposto alla domanda. Qualcuno ha ritenuto che non avesse sentito. Altri sono convinti che abbia voluto confermare lo stile con il quale si sta affermando nelle aule parlamentari, lo stile di un uomo politico che non illude i suoi interlocutori.
Ecco un esempio, per tornare alla disputa interna al governo, di come si potrebbe difendere dalla concorrenza sleale buona parte delle piccole e medie imprese italiane.
E’un provvedimento che non costa nulla, sembra che sia un intervento condiviso da buona parte del Parlamento, ma dai banchi della stessa maggioranza, che pure lo sollecita, nessuno è pronto a scommettere che diventerà legge.
Non si sa chi vincerà fra il partito della spesa e quello della lesina. Si sa, invece, quello che in Italia ha un destino segnato: è il partito del buon senso e del bene comune.