28 agosto 2025
Aggiornato 05:30
Roma, 22-24 maggio 2009

«Ero clandestina... volevo solo un lavoro onesto»

XVII Assemblea nazionale delle Acli Colf: «Per un nuovo welfare della cura oltre il fai da te»

ROMA  - «Ero clandestina, avevo il terrore di essere fermata dalla polizia. Volevo solo un lavoro onesto e una vita da vivere. Ho sofferto tantissimo.» «Tutta la mia fatica per le prime due settimana bevevo solo acqua e zucchero.» «I miei primi anni sono stati difficilissimi.» «Sarà bello quando la gente non dovrà andare più all'estero. Lavorare e vivere con la propria famiglie nel paese di origine. Un'utopia.»

Sono le voci, le testimonianze delle lavoratrici immigrate provenienti da vari Paesi del mondo. Sono state scelte dalle Acli Colf - l'associazione professionale delle Acli che organizza le collaboratrici e i collaboratori familiari - per aprire le loro «tesi», il documento preparatorio della XVIII Assemblea nazionale che si terrà a Roma dal 22 al 24 maggio, e avrà per tema l'impegno «Per un nuovo welfare della cura oltre il fai da te». Un «fai da te» che vuol dire spesso clandestinità e lavoro sommerso.

Una colf su quattro - segnalava la ricerca dell'Iref del 2007 - è priva dei documenti di soggiorno. Più della metà delle colf straniere (57%) svolge il proprio lavoro in nero, completamente o almeno in parte. Considerando i soli collaboratori «regolari», oltre la metà (55%) denuncia delle irregolarità nei versamenti previdenziali: nel 24% dei casi non viene versato alcun contributo; mentre al 31% degli intervistati vengono versati solo parzialmente Al lavoro nero si sovrappone dunque il lavoro 'grigio', cioè la tendenza a denunciare meno ore di quelle lavorate. Ma è interessante notare che 6 volte su 10 (61%) questa opzione è il frutto di una scelta concordata dalle due parti in causa, datori di lavoro e collaboratrici familiari.

«Senza ombra di dubbio - dice Pina Brustolin, responsabile nazionale delle Acli Colf - le collaboratrici e le assistenti familiari immigrate sono oggi le indiscusse protagoniste di una porzione di welfare che troppo spesso le istituzioni fingono di non vedere o considerano «marginale» e «subalterno», ma che nei fatti tende ad essere una sorta di economia sommersa e silenziosa, ma essenziale e preziosa per le famiglie italiane e pertutto il Paese».