18 aprile 2024
Aggiornato 20:30

Pesca in alto mare: impatto maggiore di quanto si pensasse

Le conseguenze della pesca commerciale sembrano estendersi molto più in profondità di quanto ci si aspetterebbe

Le conseguenze della pesca commerciale sembrano estendersi molto più in profondità di quanto ci si aspetterebbe. Secondo una nuova ricerca finanziata dall'UE, uno studio sul numero di pesci a largo della costa occidentale dell'Irlanda rivela che persino le popolazioni di pesci che vivono a profondità di 2.500 metri, molto oltre la portata delle reti da pesca e dei pescherecci con reti a strascico, sono diminuite da quando si è sviluppata la pesca di alto mare nella zona, alla fine degli anni 1980.

«La pesca commerciale potrebbe avere effetti maggiori di quanto si pensasse in precedenza, interessando pesci che credevamo al sicuro, fuori dalla portata dei pescherecci,» ha commentato il ricercatore a capo dello studio, dott. David Bailey dell'università di Glasgow nel Regno Unito. «Siamo rimasti molto sorpresi da tale risultato e crediamo che abbia implicazioni importanti per la gestione degli oceani.»

La ricerca, pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, ha ricevuto un finanziamento da parte dell'UE attraverso il progetto HERMES («Hotspots ecosystem research on the margins of European seas«), finanziato nell'ambito dell'area tematica «Sviluppo sostenibile, cambiamento globale ed ecosistemi» del Sesto programma quadro (6°PQ). Un ulteriore sostegno da parte dell'UE è arrivato anche dal progetto LOTUS («Long time-series undersea surveillance«), un'iniziativa Marie Curie finanziata nell'ambito del 6°PQ, e da una borsa assegnata nell'ambito della linea di budget MAST II («Marine science and technology«) del Quarto programma quadro (4°PQ).

L'attrezzatura per la pesca commerciale, normalmente, raggiunge profondità di circa 1.600 metri. Gli scienziati sanno da tempo che i pesci d'alto mare, che di solito vivono più a lungo e tendono a maturare più tardi rispetto alle specie commerciali, sono particolarmente vulnerabili alla pesca eccessiva. Fino a questo momento, però, si pensava che le popolazioni di pesci che vivevano al di fuori della portata delle reti a strascico venissero risparmiate.

In questo recente studio, i ricercatori hanno analizzato dati riguardanti la popolazione ittica che abbracciavano un quarto di secolo. Il sito, nel nord-est dell'Atlantico a largo della costa occidentale dell'Irlanda, fu studiato per la prima volta dal 1977 al 1989, nell'ambito di un'indagine sulle specie che vivevano in quella zona e la loro biologia. Dal 1997 al 2002 erano state fatte rilevazioni sulla stessa zona usando le stesse navi e gli stessi metodi di studio, per assicurare che i dati raccolti potessero essere accuratamente confrontati con quelli raccolti durante il periodo precedente.

Nel frattempo, alla fine degli anni ottanta, cominciò ad essere esercitata nella zona una forma di pesca d'alto mare commerciale, avente come obiettivo principalmente pesce dei macruridi, pesce sciabola nero, pesce specchio atlantico e alcune specie di squali d'alto mare. In questo recente studio, gli scienziati hanno confrontato i dati dei due periodi per vedere quali effetti avesse avuto l'interveto della nuova forma di pesca sulle popolazioni ittiche locali.

Sorprendentemente hanno scoperto che il numero dei pesci d'alto mare, a tutte le profondità fino a 2.500 metri (e cioè un chilometro oltre la portata dei pescatori), era significativamente minore nel secondo periodo rispetto al primo. Le specie che naturalmente vivono in profondità comprese almeno in parte entro la portata delle reti, erano state maggiormente colpite. Lo studio ha rivelato inoltre che sia le specie prese di mira che quelle che non costituivano oggetto della pesca subivano le conseguenze della pesca con la paranza.

«La pesca d'alto mare si rivolge a relativamente poche specie e le specie indesiderate vengono scartate. Queste specie costituiscono a volte fino al 50% del pescato e, a causa del drastico cambiamento di pressione e temperatura nel momento in cui vengono tirate in superficie, nessuna di esse sopravvive,» ha detto il professor Monty Priede dell'università britannica di Aberdeen. «Questo spiega perché lo studio ha constatato una diminuzione nell'abbondanza di specie oggetto della pesca e non.»

Ciò solleva la questione sul perché le conseguenze della pesca sono di tanto vasta portata. Una possibile spiegazione sta nel ciclo vitale dei pesci; molte specie vivono più vicine alla superficie (e quindi entro la portata dei pescherecci) quando sono giovani, e si spostano verso acque più profonde man mano che invecchiano. Oltre a ciò, molte altre specie potrebbero spostarsi in acque meno profonde nel corso delle loro attività normali, e ciò li porterebbe entro la portata delle reti e delle lenze da pesca, anche se soltanto temporaneamente.

Sono in corso piani per delimitare Aree marine protette (MPA o Marine Protected Areas) nel nord-est dell'Atlantico. I ricercatori sono comunque scettici sul fatto che tali piani possano fornire alle specie d'alto mare la protezione di cui hanno bisogno.

«Le Aree marine protette devono essere molto più ampie delle attuali MPA per la protezione del corallo,» ha dichiarato il professor Priede. «Non sono molto efficaci per le specie di pesci mobili, a meno che non si riduca l'attività della pesca.

«Siamo tutti d'accordo sul fatto che le forme di pesca d'alto mare non sono sostenibili e la maggior parte di esse (se non tutte) dovrebbero essere fermate,» ha concluso il dott. John Gordon della Scottish Association for Marine Science, uno degli autori della pubblicazione.

Per ulteriori informazioni, visitare:

Consiglio per la ricerca sull'ambiente naturale (NERC):
http://www.nerc.ac.uk

Proceedings of the Royal Society B:
http://rspb.royalsocietypublishing.org/

Progetto HERMES:
http://www.eu-hermes.net/