19 aprile 2024
Aggiornato 22:30
Protesta lavoratori GB

GB, Cgil: pagina nera movimento sindacale nella globalizzazione

“Dovere è capire malessere, non si allenti legame solidarietà internazionale dei lavoratori”

Roma – «Nel Lincolnshire si sta consumando una delle più brutte pagine della storia del movimento sindacale in tempi di globalizzazione: lavoratori inglesi contro lavoratori italiani». Sono i responsabili dell’ Ufficio Europa Fiom Cgil, Sabina Petrucci, e del Segretariato Europa Cgil, Nicola Nicolosi, a commentare così gli scioperi dei lavoratori inglesi contro il contratto a termine dato all’azienda siciliana Irem per la costruzione di un impianto in una raffineria nel nord dell’Inghilterra.

Poveri contro poveri - «La crisi economica di questi tempi - sostengono i due sindacalisti -, causata da un capitalismo votato alla speculazione finanziaria, senza regole, e centrata sulla ricchezza dei debiti, sta producendo uno dei malesseri sociali più gravi: poveri contro poveri, lavoratori contro lavoratori». Intano, mentre la crisi economica ha come effetto la perdita di migliaia di posti di lavoro, per Nicolosi e Petrucci «le soluzioni prospettate a Davos sono esattamente identiche a quelle che la crisi l’hanno provocata. Anche in Europa, la disoccupazione aumenta e la paura diventa fenomeno sociale. Casi di intolleranza razziale si consumano anche in Italia; fatti odiosi, inaccettabili, da condannare e combattere con tutte le energie».

Ma dai due dirigenti sindacali arriva l’invito a cogliere il malessere che la vicenda della Lindsey Oil sottende: «Abbiamo il dovere - dicono - di capire il malessere dei lavoratori e lavoratrici. In Europa si moltiplicano fatti e conseguenti sentenze che intervengono in materia di mercato del lavoro, di diritto alla mobilità di cose e di persone aprendo la strada al dumping sociale». A riguardo citano le recenti sentenze ‘Viking Line’ e ‘Laval’ della Corte di europea «sulla preminenza del diritto d’impresa rispetto al diritto sindacale sancito da norme e contratti nazionali, hanno destato giusta preoccupazione nel sindacato, tra i giuristi, tra i lavoratori. In questi casi il dumping salariale diventa un’opportunità, per le aziende, ad abbassare il costo del lavoro, determinando concorrenza sleale».

Nel caso della raffineria Lindsay, nella contea di Lincoln, aggiungono Nicolosi e Petrucci, «la protesta sta assumendo connotati che la destra politica e nazionalista, sta piegando contro lo «straniero». I lavoratori inglesi rivendicano che quel lavoro appaltato doveva utilizzare forza lavoro locale già penalizzata per la perdita di cinquecento posti di lavoro nel solo mese di dicembre. Se è vero che il contratto prevede una clausola di esclusione al lavoro dei locali, la riteniamo sbagliata e fonte di discriminazione. L’impresa in questo genere di questioni ha delle responsabilità enormi. Vogliamo peraltro ricordare che è un’impresa dove non è presente il sindacato. Ciò la dice lunga sul tipo di relazioni industriali».

Ma, allo stesso tempo, «gli effetti della crisi della globalizzazione non debbono allentare il legame di solidarietà internazionale dei lavoratori, condannando tutti quei fatti che possono condurre a forme xenofobe e razziste», sostengono i due dirigenti sindacali e, pertanto, ritengono che: «le norme europee non debbano prevedere meccanismi di dumping sociale e salariale, così come è successo nei casi Viking e Laval; che la direttiva ‘Distacco’ debba essere modificata in quelle parti che, abusate, possono creare contrasti tra lavoratori provenienti dai diversi Paesi». E, inoltre, «che si sviluppi la campagna della CES «Parità di lavoro, parità salariale» che ha il significato di non accettare condizioni di lavoro e di remunerazione difforme nello stesso paese e per lo stesso lavoro. Per sviluppare lo spirito dell’Europa Sociale abbiamo bisogno di solidarietà, valore a cui legare aspirazioni e prospettive di benessere diffuso». Infine, concludono Nicolosi e Petrucci, «la crisi economica e finanziaria non si combatte dentro i confini nazionali anche se a quei lavoratori inglesi vanno date risposte anche nei confini nazionali; va sviluppata un’iniziativa sindacale europea e globale a sostegno dei senza lavoro e per politiche sociali ed industriali nuove e di prospettiva».