25 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 12 gennaio 2009, n. 394

Diritto del datore di lavoro al risarcimento per violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza

E’ maggiormente determinabile se la prestazione riguarda un dirigente

Con sentenza del 12 gennaio 2009, n. 394 la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione nel ricordare che poiché l’art. 2104 c.c. – in materia di diligenza del prestatore di lavoro – dispone che il «prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale, e che deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende», ha stabilito che il datore di lavoro ha diritto al risarcimento del danno in caso di eventuale violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza da parte del citato lavoratore, e tale principio è vieppiù valido nel caso che il dipendente abbia la qualifica di dirigente.
Per la Cassazione infatti la posizione del dirigente riveste per sua natura un più rigido e fiscale rapporto di collaborazione con il datore di lavoro, del quale rappresenta un vero e proprio alter ego.

Tali obblighi del dirigente della banca di fedeltà e diligenza nei confronti della stessa erano stati violati per avere egli consentito alla clientela «la formazione di un’esposizione debitoria anomala facendo assumere alla banca rischi eccedenti l’ordinata e corrente gestione dei rapporti di mutuo».
Per la Cassazione nel caso di specie si era determinato per tale comportamento un danno risarcibile pari alla perdita che l’Istituto di credito aveva subito «a causa della situazione di insolvenza dei beneficiari del credito assentito dal suo dirigente con violazione dell’obbligo di diligenza».

Fatto e diritto
Un dirigente di banca - già direttore di una filiale di una grande città - aveva violato l’obbligo di fedeltà e diligenza nei confronti della banca stessa in quanto aveva consentito alla clientela «la formazione di un’esposizione debitoria anomala facendo assumere alla banca stessa rischi eccedenti l’ordinata e corrente gestione dei rapporti di mutuo.
Tali debiti non erano stati autorizzati e per la banca il direttore aveva violato non solo il dovere di diligenza, ma anche le specifiche istruzioni impartite sulla vicenda dalla direzione centrale, così permettendo la formazione di una rilevantissima esposizione con il prevedibile danno per non essere il gruppo aziendale in questione in grado di fare fronte con il patrimonio delle società e dei soci al pagamento del debito accumulato.
La banca chiedeva quindi che, accertata la responsabilità dell'ex direttore di filiale per i fatti esposti, il medesimo fosse condannato al risarcimento dei danni in misura non inferiore a 31,9 mld, relativamente alla esposizione non autorizzata nei confronti del Gruppo aziendale ed a 10 mld quale danno all'immagine.
Per questo la Banca aveva ottenuto dal giudice un sequestro conservativo ante causam in danno del suo ex dirigente, sui beni del medesimo sino alla concorrenza di 30 mld (importo poi ridotto a 15 mld con altra ordinanza), e convenuto quest'ultimo in giudizio per sentirne dichiarare la responsabilità per colpevole inadempimento all'obbligo di diligenza ex art. 2104 c.c., oltre che per illecito sanzionabile ex art. 2043 c.c..
Il dirigente si era giustificato affermando di aver consentito il fido al Gruppo aziendale - in virtù di rapporti intrattenuti con la filiale.

Le ragioni del dirigente
Il dirigente aveva contestato qualsiasi responsabilità a lui addebitata per i fatti dedotti dalla banca negando di aver intrattenuto rapporti con il Gruppo aziendale e di essere venuto a conoscenza di sconfinamenti e di giri di assegni che erano a conoscenza e approvati dalla direzione centrale della banxa stessa.
Inoltre aveva contestato l’ammontare dell’esposizione debitoria del Gruppo aziendale e l’esistenza di un danno per l’Istituto di credito, dato che il patrimonio del gruppo era di gran lunga superiore al credito vantato e aveva chiesto la revoca del sequestro conservativo precedentemente autorizzato, il rigetto della domanda proposta da controparte, proponendo domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni derivanti dal fatto che la banca avesse agito con dolo nei suoi confronti e avesse eseguito la misura cautelare in modo pregiudizievole, non avendone diritto.

Le vicende processuali
il Pretore adito dichiarava, sia la nullità del ricorso, sia della memoria contenente la domanda riconvenzionale e l’inefficacia del sequestro conservativo nei confronti del dirigente.
La banca allora è ricorsa in appello avverso le due sentenze per contestare la dichiarata nullità del ricorso introduttivo, la dichiarazione di inefficacia del sequestro conservativo e per riproporre la domanda di risarcimento danni.
Il Tribunale rigettava l’appello incidentale del lavoratore ed accoglieva quello principale, condannando, per l’effetto, il dirigente al pagamento della somma di ¤ 45.144.909,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutata sino al soddisfo, oltre alle spese.
Contro tale decisione, il dirigente è ricorso alla Corte di Cassazione, che ha cassato la sentenza impugnata (limitatamente al secondo motivo) e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Corte di Cassazione la violazione da parte del lavoratore degli obblighi di fedeltà e diligenza comporta, oltre all'applicabilità di sanzioni disciplinari, determina anche l'insorgere del diritto al risarcimento del danno e tali obblighi sono particolarmente accentuati nel caso in cui il dipendente abbia la qualifica di dirigente che lo pone in un diretto e stretto rapporto di collaborazione con il datore di lavoro.
Per la Corte di Cassazione il dirigente di un istituto di credito che si colloca al vertice dell'organizzazione aziendale svolge mansioni tali da improntare la vita dell'azienda, con scelte di respiro globale, e si pone in un rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un alter ego; da ciò discende anche un'accentuazione dell'obbligo di diligenza che può dirsi violato allorché il dirigente consenta alla clientela della banca la formazione di una esposizione debitoria anomala facendo assumere alla banca stessa rischi eccedenti l'ordinata e corrente gestione dei rapporti di mutuo. In tale evenienza si determina un danno risarcibile pari alla perdita che l'istituto di credito subisce a causa della situazione di insolvenza di beneficiari del credito assentito dal suo dirigente con violazione dell'obbligo di diligenza.

Allegato:
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 12 gennaio 2009, n. 394