Cristiano Tomei: «Il cuoco non deve avere paura del fuoco»
L'istrionico chef emergente toscano, durante una manifestazione gastronomica si è scagliato contro i suoi colleghi che abusano di tecniche quali le cotture in sotto vuoto e a bassa temperatura
TAGGIA - Si è appena conclusa a Taggia la terza edizione di Meditaggiasca, manifestazione gastronomica che ha come obiettivo principale la valorizzazione dell'oliva Taggiasca e la sua contestualizzazione sul territorio di origine; il comune di Taggia e tutta la Valle Argentina. Chef stellati e non, italiani e francesi, si sono alternati in una due giorni di show cooking proponendo e realizzando in diretta piatti di vario genere, dove l'oliva Taggiasca ne uscisse da protagonista.
LA CUCINA SOTTO VUOTO O A BASSA TEMPERATURA - L'aneddoto che sintetizza il pensiero giunge da abbastanza lontano, e cioè dai Paesi Baschi, laddove il formidabile chef Andoni Luiz Aduriz, nel 2010 vide andare in fiamme il suo ristorante Mugaritz, proprio dove si metteva in scena una grande cucina concettuale, basata sostanzialmente sull'assemblaggio di prodotti crudi, freddi, o al massimo tiepidi. Che un locale così connotato dal punto vista della concezione della cucina "senza fuochi" prendesse fuoco, portò qualche cinico e sarcastico commentatore a dubitare sulla dimestichezza di questo chef con il fuoco stesso.
CRISTIANO TOMEI - Sarcastico come solo può esserlo un toscano, istrionico e fomentatore di idee e di intenzioni, Cristiano Tomei è uno chef di origine viareggine che ha trovato il giusto successo ai fornelli del ristorante L'Imbuto, che si trova all'interno di una galleria d'arte moderna a Lucca, la città dove si producono ancora i famosi sigari Toscani all'Antica, quelli "rollati" a mano da delicate mani femminili, e che si fumano solo quando una bella e lunga fiammata li abbia incendiati.
ALTA TEMPERATURA - Mentre cucinava il riso all'acqua con infuso di sigaro e gelato all'aglio, Tomei ha approfittato dei tempi di cottura per scagliarsi contro gli chef che hanno paura del fuoco, quelli che rendono le carni di un maialino o di un agnello -già tenere di loro- delle poltiglie simili agli omogeneizzati, grazie o a causa degli strumenti che rendono possibile una cottura prolungata in sotto vuoto e a bassa temperatura. Questo lungo e costoso procedimento, spezza inesorabilmente le fibre animali rendendo tenere anche "le gambe di un comodino", pregiudicandone però -secondo Tomei- le consistenze originali, e così togliendoci il piacere della masticazione.
A FUOCO VIVACE - Dopo aver cucinato e giustiziato sommariamente queste tecniche e chi le utilizza, ha ribadito la necessità di tornare alle braci ardenti, ai forni ad alta temperatura, ai fuochi vivi, sempre che oggi la nuova generazione di cheffini sappia ancora gestire il fuoco, che non abbiano timore di bruciarsi con il fuoco sacro della cucina cucinata.