19 aprile 2024
Aggiornato 07:00
Mostra

Roginsky, finalmente in Italia il padre della Pop Art russa

Dal 7 giugno al 23 novembre l'Università Ca’ Foscari ospita la prima personale del maestro, con un focus sugli anni della sua maturità artistica, quelli trascorsi a Parigi, quando elaborò il suo manifesto antiestetismo, l'avversione per la stessa parola «arte»

VENEZIA - Finalmente in Italia il padre della Pop Art russa, signore e signori Mikhail Roginsky. Aprirà il 7 giugno (fino al 23 novembre) all’Università Ca’ Foscari la prima nazionale dedicata al maestro.

La mostra «Mikhail Roginsky. Oltre la Porta rossa», organizzata dalla Fondazione Mikhail Roginsky in collaborazione con il Centro Studi sulle Arti della Russia CSAR dell’Ateneo veneziano nell'ambito della 14. Biennale d'Architettura di Venezia, si focalizza sulle opere della maturità (1978-2003), l'arco di anni in cui Roginsky visse a Parigi, con un accento particolare sulla pittura, sul colore, la forma e la costruzione.

L’esposizione, non a caso, prende avvio da un’opera precedente alla stagione parigina, con quella «Porta rossa» (1965) che appartiene al periodo sovietico dell’artista e che di lui è certamente una delle creazioni più famose ma anche una delle più ermetiche. La «porta» è idealmente quella che Roginsky scavalca, abbandonando il cliché di artista politicizzato, dedito a concezioni complesse, per approdare appunto ai nuovi ambiti della pittura.

Spesso considerata dai critici come un oggetto del «ready made«, la «Porta» preconizza invece proprio il suo passaggio alla pittura: l’artista stesso sottolineava lo stretto legame di quest’opera con la pittura da cavalletto. Con quest'opera Roginsky dichiara la volontà di superare ogni convenzionalità del linguaggio artistico dominante.

L’opera rappresentò, nell’Unione Sovietica postbellica, uno dei primi tentativi di de-costruzione della bidimensionalità della superficie pittorica. Qui si trovano le premesse del suo manifesto antiestetismo, l'avversione dell'artista per la stessa parola «arte», da lui intesa come un complesso di cose create artificialmente, avvizzite dal secolare uso o oberate dal peso di una ipocrita ideologia.

La mostra si snoda come un racconto del complesso iter evolutivo dell'artista, per questo il motivo conduttore è il viaggio come metafora del cammino creativo. Dallo spazio con le nature morte semiastratte sugli scaffali, che superano la figuratività, si passa verso una natura morta minimalista rappresentata da semplici «ritratti» di oggetti semplici, incrollabili nella loro plastica certezza.

Dalla sala con i grandi lavori acrilici su carta, che simulano l'imperturbabilità della pittura «alta» e interpretano in modo ironico i suoi generi principali, si entra nell’alterato, suggestivo mondo dell'espressionista, che tenta di dare voce urlata, per mezzo dell'arte, al tormentato processo di perdita dell'armonia. Il tutto lungo otto sezioni in cui le 120 opere sono presentate insieme ad un ampio corredo di immagini fotografiche e video, molti inediti.