18 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Mostra

Klimt, il mito rivive a Milano

Fino al 13 luglio nelle sale di Palazzo Reale esposte 100 opere dell'artista della Secessione viennese. Dal «Bacio» alla «Giuditta», dalla «Sposa» ad «Adamo ed Eva», fino al celebre capolavoro «Fregio di Beethoven»

MILANO - Il Male contro il Bene, il riscatto attraverso l'arte nel rapporto tra l'uomo e la donna. La liberazione totale come estasi amorosa, come desiderio sessuale, e il regno ideale espresso dall'abbraccio di una donna. «Il mio regno non è di questo mondo» scrive Klimt nell'ultimo pannello del suo capolavoro «Fregio di Beethoven», citazione biblica che si ritrova anche nel saggio di Wagner dedicato a Beethoven per sottolineare la funzione liberatrice della musica in contrasto con la corruzione del mondo terreno.

Questa e tante altre celebri opere dell'artista viennese sono visibili fino al 13 luglio a Palazzo Reale a Milano nella mostra «Klimt. Alle origini di un mito»: grazie alla collaborazione con il Museo Belvedere di Vienna, arrivano in Italia 100 dipinti che celebrano la sua carriera, dagli anni della formazione con gli studi di arte applicata all’istituto di Art and Craft a quelli della Secessione Viennese (1897) che auspicava un rinnovamento artistico, per concludere il percorso con la ricostruzione del famoso «Fregio di Beethoven» (1902). Tra le opere anche il «Bacio», la «Giuditta», la «Sposa» e «Adamo ed Eva», uno dei suoi ultimi lavori, rimasto incompiuto.

Sulle note di un fastoso valzer viennese di fine Ottocento, Klimt irrompeva nei primi anni del ‘900 sulla scena austriaca insieme ad un gruppo di artisti ostili agli insegnamenti tradizionali dell’accademia. L'esposizione milanese ripercorre l’aspetto intimo del maestro: dal rapporto con i due fratelli minori Ernst e George, con i quali fonda la «Compagnia degli Artisti», a quello artistico e professionale.

La sala finale è dedicata al «Fregio», utile ad interpretare il nucleo espressivo della sua arte. L'opera occupa tre pareti della sala ed è formato da sette pannelli di 2 metri di altezza e 24 di lunghezza. Per far risaltare la superficie Klimt inserì frammenti di specchi, vetri e chiodi su una tecnica già molto elaborata di caseina su intonaco. Questo dipinto, in cui l'artista raffigura l’eterna lotta tra il Bene e il Male, è un tentativo di ricerca della felicità, simboleggiata da un albero dorato della vita e una ragazza che aspetta l’amato per abbracciarlo: una felicità ritrovata.

La stessa felicità che si ritrova nell’opera le «Tre Età della Donna», conservata alla Gnam di Roma, in cui la serenità è la maternità stessa. Klimt ha già visitato Venezia, Ravenna e Firenze dando inizio al suo periodo d’oro in cui trasforma i quadri in gioielli del pensiero. «Giuditta I» sarà la prima donna ad essere «ingioiellata» da Klimt, sovrana di un impero, visibile alle spalle, ispirato al bassorilievo assito del VII secolo. I personaggi sono preziosi e sempre più distanti, appartengono ad una realtà metafisica ed eterna. Nella «Giuditta II» del 1909 la stessa donna è più drammatica e sensuale: è il volto di una tensione emotiva ed interiore.

Allegoria, simbolismo e un nascente Espressionismo fanno di Klimt il rappresentante di un’epoca apparentemente d’oro che si interrogava sull’esistenza, la vita, la morte, la natura, la vecchiaia, la fama, il rapporto uomo-donna, mettendo al primo posto l’umanità.