28 agosto 2025
Aggiornato 05:30
Scienza | Archeologia

Scoperto il «santuario delle amigdale» in Eritrea

Reperti umani e dell'industria litica risalenti a circa un milione di anni fa. A scoprirlo, durante l'ultima campagna di scavi nel bacino sedimentario di Buya, in Eritrea, l'equipe internazionale guidata dal paleoantropologo della Sapienza Alfredo Coppa

ROMA - Un 'santuario delle amigdale' con reperti umani e dell'industria litica risalenti a circa un milione di anni fa. A scoprirlo, durante l'ultima campagna di scavi nel bacino sedimentario di Buya, in Eritrea, l'equipe internazionale guidata dal paleoantropologo della Sapienza Alfredo Coppa. I ricercatori hanno parlato subito di un «santuario delle amigdale», poiché il sito è senz'altro uno dei posti a più alta concentrazione di manufatti litici di tipo acheuleano risalente a quel periodo: ai loro occhi è apparsa una spianata di reperti di basalto, scisti, selce e quarzite accumulatisi nel tempo a causa dei fenomeni di erosione differenziata. Si tratta probabilmente di depositi del fondo di un canale che, su una superficie di circa 400 metri quadrati, vede concentrate centinaia di amigdale attestanti una presenza umana importante e prolungata nel tempo.

«Il periodo intorno ad un milione di anni or sono è cruciale nella storia dell'evoluzione umana, - spiega il direttore della Missione, Alfredo Coppa - ma finora sono pochissimi i reperti risalenti a questo periodo rinvenuti in Africa, e che si attestano proprio in quest'area, la Dancalia, all'imbocco della Rift Valley». Durante l'ultima campagna di scavo del sito di Mulhuli-Amo sono stati rinvenuti anche vari frammenti quasi sicuramente appartenenti ad un unico cranio: siamo dunque ben al terzo individuo ritrovato soltanto nel corso dell'ultimo anno e a qualche decina di metri dal toro frontale MA 154 e a sedici anni dal cranio di UA 31, il primo esemplare rinvenuto nell'area che tanto scalpore suscitò nell'ambiente scientifico internazionale.

Nell'ultima campagna i ricercatori hanno trovato un frammento di osso parietale destro, più cinque frammenti che hanno portato alla ricostruzione del parietale del lato opposto, quindi un ulteriore frammento del temporale sinistro e finalmente un terzo molare mandibolare: la somiglianza di questo nuovo reperto, oltre che di quello dello scorso anno, con il primo cranio rinvenuto sedici anni fa consente di parlare così con maggiore convinzione di un'unica popolazione con caratteristiche simili che ha lasciato le sue tracce in almeno due insediamenti distanti circa 10 chilometri. Inoltre, in questa zona di insediamenti ce ne sono almeno altri 30, già individuati, ma non ancora indagati.

Questi nuovi ritrovamenti confermano in maniera definitiva che l'area investigata dall'equipe internazionale guidata dalla Sapienza si trova in una delle regioni a più alta potenzialità per le ricerche sulle origini della nostra specie sapiens, i cui diretti antenati compariranno proprio in Africa orientale due-trecentomila anni più tardi. Ora la parola passa alle tecnologie: i nuovi reperti, come già i denti incisivi trovati nel corso delle precedenti campagne, saranno scannerizzati presso il Sincrotrone Elettra di Trieste per analizzarne la microstruttura. Allo stesso modo, sarà possibile anche verificare «virtualmente» e ad alta risoluzione il modello di espansione della regione cranica parietale che sembra caratterizzare anche questi nuovi ritrovamenti, confermando dunque una tappa cruciale del percorso evolutivo da Homo ergaster a Homo heidelberghensis che si affermerà all'incirca 800.000 anni fa.

Le ricerche nella Dancalia eritrea sono state rese possibili anche grazie al finanziamento che la Sapienza destina ai Grandi scavi archeologici, in cui rientra il Progetto internazionale «Eritrean-Italian Danakil Expedition: Anthropo-archaeological and Geo-Paleontological Mission», oltre che a un progetto PRIN del Ministero della ricerca scientifica.