20 aprile 2024
Aggiornato 00:30
Cinema italiano

I Taviani: A Rebibbia abbiamo trovato talento e umanità

Il 2 marzo in sala «Cesare deve morire», girato nel carcere romano: Abbiamo scelto il Giulio Cesare perché contiene elementi come la congiura, il tradimento, la morte, che facevano parte del passato di tutti loro

ROMA - «Quando siamo entrati a Rebibbia per vedere i detenuti che rappresentavano Shakespeare siamo rimasti fulminati e emozionati e da lì è partita l'idea del nostro film. In quel carcere abbiamo trovato talento e umanità e abbiamo instaurato con i detenuti un rapporto di grande complicità e riconoscenza». Così Paolo Taviani ha raccontato l'avventura che lo ha portato con il fratello Paolo a girare Cesare deve morire (nei cinema dal 2 marzo), il film che riprende la messa in scena da parte dei detenuti del carcere di Rebibbia del «Giulio Cesare» di Shakespeare, con il quale hanno vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino. «Abbiamo scelto il Giulio Cesare perché contiene elementi come la congiura, il tradimento, la morte, che facevano parte del passato di tutti loro. Nella rappresentazione al talento hanno aggiunto la loro memoria drammatica, colpevole, e la loro umanità» ha spiegato Vittorio.

Sono esseri umani che dobbiamo rispettare - Nel carcere di Rebibbia ci sono cento detenuti che svolgono attività teatrali, e i loro spettacoli sono stati visti da 22.000 spettatori. «Il rapporto che si è stabilito con i detenuti è qualcosa che ci morde ancora dentro: è la complicità che si crea quando cerchi una scheggia di verità attraverso un'opera» ha spiegato Vittorio. I due fratelli hanno confessato che durante le riprese erano spinti da affetto nei confronti dei carcerati, ma nello stesso tempo non potevano dimenticare le loro colpe: «Abbiamo sentito che attraverso Shakespeare riuscivamo a tirar fuori da loro emozioni che purificavano in qualche modo quello che avevano fatto. Sono esseri umani che dobbiamo rispettare» ha affermato Paolo.