Morto di malaria alle Molinette: medici sbagliano la diagnosi, condannati
Tutti all'epoca dei fatti erano in servizio presso l'ospedale Molinette di Torino dove la vittima è stata ricoverata con alcuni sintomi che avrebbero dovuto, secondo l'accusa, portare i sanitari a intuire immediatamente la natura della malattia
TORINO - Cinque medici sono stati condannati dal tribunale di Torino per il caso di un uomo morto di malaria nel 2010. Le pene vanno dai 10 ai 16 mesi di reclusione e un sesto sanitario, che ha visitato solo una volta il paziente, è stato assolto. Tutti all'epoca dei fatti erano in servizio presso l'ospedale Molinette di Torino dove la vittima è stata ricoverata con alcuni sintomi che avrebbero dovuto, secondo l'accusa, portare immediatamente a intuire la natura della malattia. Ma invece non è andata così: la prima diagnosi fu di linfoma.
MALARIA - La vittima si chiamava Antonio Mencaroni e lavorava come ingegnere presso la Goodyear. Al processo si è ipotizzato che l'uomo, il quale non aveva mai fatto un viaggio in Paesi considerati a rischio, fu contagiato dal morso di una zanzara rimasta annidata in un carico di pneumatici provenienti dalla Nigeria. In ogni caso, sempre secondo l'accusa, i medici avrebbero potuto capire immediatamente la natura della patologia. Oltre alle pene assegnate, gli imputati dovranno pagare una provvisionale di 80 mila euro alla vedova di Mancaroni e di 20 mila alla sorella.
MORTE - Stando a quanto ricostruito in aula, Mencaroni era stato sottoposto a un intervento alla prostata nel dicembre del 2008 in seguito al quale presentava una febbre persistente che non accennava a calare. A venti giorni di distanza dall'operazione il paziente è stato sottoposto all'asportazione della milza ma non è migliorato, anzi, il suo organismo si è indebolito ulteriormente, ha spiegato in aula il pm. Apparentemente, stando a quanto dichiarato dai sanitari, nulla faceva pensare alla malaria, dal momento che il paziente stesso non aveva dichiarato viaggi in paesi a rischio. La procura però ha ribattuto che non è stata eseguita una anamnesi completa e che nulla vietava di fare esami completi anche in assenza di viaggi dichiarati in paesi a rischio. In conclusione, dal processo emerge che, se i medici avessero capito prima di cosa si trattava, la morte di Mencaroni forse si sarebbe potuta evitare.
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