29 marzo 2024
Aggiornato 07:00
Disturb alimentari

Dai delfini la chiave per aiutare chi ha disturbi alimentari

Bisogna imitare il comportamento dei delfini con la loro prole, evitando sia gli atteggiamenti iperprotettivi che quelli di eccessivo controllo

Arriva dai delfini la chiave per aiutare chi soffre di disturbi alimentari. Anoressia, bulimia, 'binge eating' o alimentazione incontrollata, in Italia sono due milioni i giovani che ne soffrono e ora arriva il metodo Maudsley, che insegna l'atteggiamento corretto per stare accanto a chi soffre di Dca, disturbi del comportamento alimentare, imitando il comportamento dei delfini con la loro prole: evitando sia gli atteggiamenti iperprotettivi che quelli di eccessivo controllo. Secondo un rapporto Eurispes in Italia sono circa due milioni i giovani di età compresa tra i 12 e i 25 anni che soffrono di Dca.

Nella maggior parte dei casi si tratta di donne: circa il 5% delle giovani tra i 13 e i 35 anni ne soffre, ma l'incidenza sta salendo anche tra i quarantenni e tra gli uomini. Soltanto nel Lazio nel 2007 sono stati circa 30mila i giovani tra i 14 ed i 24 anni che hanno sofferto di disturbi alimentari. Di questi, 2.185 si sono ammalati di anoressia nervosa, 7.287 di bulimia nervosa, mentre 20.528 hanno sofferto forme più lievi, transitorie o 'sotto soglia' dei disturbi. A rischio sono soprattutto le adolescenti. Le famiglie di chi soffre di Dca spesso non sanno come aiutare e il libro della professoressa Treasure dà una risposta originale, paragonando le strategie adottate dai carers a quelle di cinque animali: il canguro, il rinoceronte, lo struzzo, la medusa e il delfino, modello al quale bisognerebbe tendere. Il modello del 'canguro' è seguito dal 60% delle famiglie con un figlio o una figlia che soffre di disturbi alimentar: eccessivamente protettivi e il malato diventa un bambino che non riesce a sviluppare abilità e autonomia necessarie a guarire.

C'è invece chi si arrabbia troppo - il 15% delle famiglie - come un 'rinoceronte', e tenta di costringere il malato a mangiare o a smettere di mangiare in modo compulsivo: il risultato è una ribellione e i disturbi peggiorano. Altri invece lasciano trasparire integralmente le proprie emozioni, come una 'medusa': paura, depressione, senso d'impotenza, ma di fronte a questo peso delle emozioni dei familiari, il malato si sente in colpa e smette di comunicare, una barriera che lo rinchiude ancor più nell'ossessione per il cibo. Opposto l'atteggiamento dello 'struzzo': troppo dolore e il familiare nasconde proverbialmente la testa sotto la sabbia, ignorando la malattia. Secondo la professoressa Janet Treasure, psichiatra di fama internazionale e autrice dei volume Skills-Based Learning for Caring for a Loved One with an Eating Disorder. The New Maudsley Method», «il corretto modello comportamentale è quello del 'delfino' e consiste nel trovare il giusto equilibrio tra emotività e controllo, mostrandosi presenti e disponibili ad ascoltare la persona malata e incoraggiandola senza forzare le tappe del percorso di guarigione». E cinque sono le fasi della guarigione: pre-contemplazione, quando manca la consapevolezza di essere malati; contemplazione, ovvero la preparazione al cambiamento, l'azione, in cui finalmente si esercita la volontà di guarire, e infine il mantenimento, in cui si tengono sotto controllo i rischi di recidiva.

Fonte: Apcom