Napolitano: ricordare che Italia fu Paese di emigrati
L'auspio del Presidente della Repubblica: «Ci sono state scosse sociali, bisogna governarle»
NEW YORK - «La ricerca talvolta disperata di lavoro e di vita decente che fecero tantissimi (italiani), spinge oggi altri a venire in Italia. Nel frattempo è cambiato il contesto mondiale. Oggi c'è un incrocio fra l'Italia e l'Africa che prima non c'era stato: noi siamo fra i paesi europei ultimi arrivati come paese di immigrazione essendo stati in passato il numero uno come paese di emigrazione». Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a margine dell'inaugurazione di Industria Gallery a New York, sottolineando che l'importante è che non si dimentichi che l'Italia è stata un Paese di emigrati.
GOVERNARE LE «SCOSSE» - Il capo dello Stato, rispondendo a chi gli chiedeva quali fossero gli elementi in comune tra l'emigrazione storica e quella odierna, ha sottolineato che «il modo di considerare chi arriva non può prescindere da una esperienza dolorosa che abbiamo fatto», ma qualcosa è migliorato perché «adesso ci sono dei meccanismi di accoglienza soprattutto in sede europea che una volta non c'erano».
Gli italiani, secondo il presidente, non stanno dimenticando quello che sono stati: «ci sono ogni tanto delle posizioni, delle reazioni un po' sbrigative a livello di opinione pubblica» e, dal momento che negli ultimi vent'anni si è passati da una presenza minima di immigrati al 7 per cento della popolazione, «delle scosse dal punto di vista sociale e psicologico ci sono state, bisogna governarle».
Napolitano, che vanta con gli Stati Uniti un rapporto di lunga data, ha aggiunto «Non risale a 150 anni fa. Ma esattamente al 1978, a 33 anni fa», ha scherzato, e si è soffermato su quanto sono cambiati gli italoamericani negli ultimi venti-trenta anni, rivolgendo loro un messaggio: «è molto importante che coltivi la diffusione della lingua italiana anche chi l'ha ricevuta in eredità dai propri genitori».