19 aprile 2024
Aggiornato 19:30
La tensione nella Maggioranza

Berlusconi: se Fini resta si deve adeguare

L'altolà del premier alla corrente finiana: «Non capisco cosa vuole, ma si sogni gioco di trabocchetti in Aula»

ROMA - Il bicchiere mezzo pieno: tanto rumore per nulla. Il bicchiere mezzo vuoto: la prospettiva di un logoramento che non ha intenzione di sopportare. Ancora oggi, dopo che Gianfranco Fini ha riunito i «suoi» nella sala Tatarella della Camera per spiegare che lui nel Pdl intende restarci ma senza rinunciare a parlare e a esprimere il suo dissenso, il presidente del Consiglio ha continuato a chiedersi e a chiedere ai suoi interlocutori: ma cosa vuole veramente?

Il dado sarà tratto domani - Dopo una mattinata trascorsa a palazzo Chigi per incontrare il premier libanese Hariri, il Cavaliere ha riunito a palazzo Grazioli lo stato maggiore leghista (ma senza Bossi) per discutere degli assessorati delle regioni del Nord e i vertici del Pdl (assente non invitato il «finiano» Bocchino) anche per parlare dell'organizzazione della Direzione di giovedì. La scaletta, alla fine, potrebbe prevede una introduzione del premier, quindi un dibattito (compreso l'intervento di Fini) e l'eventuale replica del Cavaliere. Ma con i vertici del Pdl Berlusconi si è preso altre 24 ore di tempo per definire la linea: il dado sarà tratto domani. E però l'idea che possa nascere un partito alla vecchia maniera, con tanto di corrente, gli fa venire l'orticaria.

«La corrente non ha senso» - Il premier considera l'esito della riunione di questa mattina dei fedeli al presidente della Camera, una dimostrazione di debolezza dello stesso Fini visto anche il documento sottoscritto dai circa 50 parlamentari. «Quell'ordine del giorno lo avrei firmato anche io» è il commento più in voga tra gli ex Fi. Perché - si ragiona a via del Plebiscito - una cosa è mettere il proprio nome sotto una lettera peraltro soft, un'altra è seguire la terza carica dello Stato in un gruppo autonomo o in una (al momento smentita) ipotesi di scissione, o anche di corrente. Possibilità che peraltro infastidisce il Cavaliere. «Non avrebbe senso» è il commento che emerge al termine della riunione pomeridiana. L'idea di essere inghiottito nelle liturgie da vecchio partito è quanto di più lontano dal modo di ragionare di Berlusconi. E poi, soprattutto, il presidente del Consiglio è tediato all'idea che su ogni provvedimento, da quegli che gli stanno più a cuore come la riforma della giustizia a quelli ordinari, si crei una piccola fronda con cui dover stare a discutere. Insomma, per il premier, era quasi meglio se Fini avesse abbandonato la nave.

Questione di Democrazia - Berlusconi comunque starà ad ascoltare quello che il presidente della Camera avrà da dire alla Direzione nazionale di giovedì, cercando di capire se ci sono ancora margini per rimettere assieme i cocci. E' chiaro che per Berlusconi questo vuol dire una sola cosa: chi è minoranza si adegua alle decisioni prese a maggioranza nel partito, e questo vuol dire che non ci devono essere discrepanze nel voto parlamentare.