Berlusconi frena sul presidenzialismo
Intanto parte la caccia alle formule e Fini parla di modello italiano
Molti osservatori si sono chiesti in questi giorni come mai il Presidente del Consiglio, dopo le prime parole concilianti pronunciate verso la sponda avversaria, l’indomani del voto regionale, sia poi ripartito a testa bassa contro magistratura e Presidente della Repubblica, raggelando chi nel Pd aveva lasciato intravedere qualche spiraglio di dialogo.
Francesco Verderami questa mattina sul «Corriere della sera» attribuisce questa impennata non prevista del Cavaliere all’esito dei suoi sondaggi sul gradimento degli italiani nei confronti del presidenzialismo. Sondaggi che confermerebbero l’avversione degli italiani per «l’uomo solo al comando».
Non è escluso che Verderami abbia ragione.
E’ nota a tutti la predisposizione di Silvio Berlusconi di approcciarsi ai sondaggi con la stessa fiducia con la quale il comandante di un battello si affida alla bussola. Ma non è escluso che all’origine dell’inaspettato ripensamento ci sia anche dell’altro.
A non puntare tutto sul presidenzialismo, per esempio, potrebbe averlo indotto il polverone istituzionale che si è sollevato appena ha pronunciato la fatidica parola. Nel carosello delle ipotesi è finito di tutto: dalle accuse di cesarismo, al passaggio al microscopio delle esperienze sperimentate in altri paesi, all’esame dei successi o degli insuccessi di formule finora rimaste sulla carta o applicate financo nelle isole più esotiche.
Se tutto questo, come ha ricordato Marcello Veneziani sul «Giornale» e come confermano i sondaggi di Berlusconi, ha già stancato gli italiani, figuriamoci quale effetto può avere fatto sul Cavaliere. Che non ha caso si è subito affrettato a ricordare ai suoi concittadini che il nodo principale da sciogliere al più presto è quello della giustizia e dei lacci e lacciuoli che la burocrazia istituzionale (l’equilibrio dei poteri, dicono gli altri) impone alla sua voglia di fare.
Per non tediare gli italiani Marcello Veneziani propone una soluzione: un patto che consenta a Berlusconi di governare per tre anni in pace prima che gli venga steso un tappeto rosso che lo conduca al Quirinale. Con il presidenzialismo questa ipotesi per Berlusconi si tradurrebbe in un «asso piglia tutto» e gli altri non ci starebbero, spiega Veneziani. Ma se nel mentre, aggiunge, si fosse optato per il premierato, con l’attribuzione cioè di forti poteri al Presidente del Consiglio, il Cavaliere al Quirinale non farebbe più paura a nessuno perché saremmo nuovamente davanti ad un bilanciamento dei poteri.
«Dagli amici mi guardi iddio» deve avere pensato Berlusconi dopo aver letto la proposta di Veneziani stampata sul quotidiano di famiglia. Il Presidente del Consiglio finora ha infatti mostrato solo idiosincrasia per la parola «pensionamento», anche se posticipata di qualche anno e collocata in mezzo ai corazzieri.
Ecco perché Berlusconi ha fatto come nel gioco dell’oca quando si torna alla casella iniziale.
E la casella iniziale, nel gioco del premier, vede prima di tutto il superamento del nodo giustizia (il libero impedimento ha già trovato un primo scoglio a Milano) e una corsia veloce per i provvedimenti più urgenti in Parlamento.
Il dietrofront di Berlusconi (momentaneo o definitivo) è l’ennesimo riprova che per conservare la salute di riforme in Italia è meglio parlarne che farle.
Forse è bene ricordare la fine che fecero i due ministri Berlinguer e Bindi nel primo governo Prodi, dopo aver realizzato la riforma della scuola e della Sanità. Furono defenestrati in tutta fretta.
Il secondo governo Prodi esordì invece con la bella pensata di liberalizzare le licenze dei taxi nelle grandi città. Il risultato fu che fallì il tentativo di accontentare gli ultra rossi alla Turigliatto
(continuarono infatti imperterriti a preparare tranelli in Parlamento) e si ritrovarono in piazza i tassinari.
Il resto lo fecero quelle «lenzuolate» di Bersani che i professionisti e i lavoratori autonomi non si sono più dimenticati nelle tornate elettorali che da allora si sono susseguite. Per non parlare della riforma fiscale di Vincenzo Visco.
Agli italiani le riforme piacciono, ma non nel proprio giardino. E Berlusconi lo sa.