12 ottobre 2025
Aggiornato 08:30

Orfei: la Politica non è estranea a professione di Fede

ROMA - «Tema preliminare: ipotesi di una regressione della cultura sociale e politica dei cattolici. Pare di poter dire che sia in corso un ritorno a concezioni antiche dello spirito pubblico dei fedeli, cioè a un'idea che la politica sia estranea alla professione di fede. E che comunque la questione che potrebbe porsi sia soltanto di coscienza individuale».
Questo l'incipit de «Il gioco dell'oca: rapporto sul movimento cattolico», ultima opera-indagine di Ruggero Orfei, politologo ed esponente di lungo corso del movimento cattolico democratico.

Si può parlare propriamente di 'indagine' perché Orfei per rispondere alla domanda iniziale ripercorre tutta la complessità dell'idea di presenza politica dei cattolici in Italia. Una rilettura severa che nulla risparmia sia al versante laico che a quello strettamente ecclesiale, mettendo a fuoco i momenti salienti e decisivi,nel bene e nel male, del fare politica dei cattolici in Italia. Una rilettura accurata, puntigliosa, che però non stanca il lettore nonostante la difficoltà dei temi trattati perché ha il pregio delle più classiche indagini: quello di svelare il perché di fatti rimasti indietro nella memoria, ma che sono portatori di conseguenze nel vissuto di oggi.

Già dall'inizio si intuisce che per Orfei i cattolici in politica non vivono una fase alta, anzi che sono impegnati ad attraversare il 'deserto' di una loro crisi.

Orfei sottolinea come la fine della Democrazia Cristiana ha avuto un effetto di trascinamento verso il basso di tutta la struttura organizzata dei cattolici italiani. Ma quella dell'autore non è una nostalgia, un rammarico è solo la costatazione che quella fine ha svelato la condizione di povertà e di crisi culturale, di pensiero politico e religioso che vivevano i cattolici impegnati in politica.

Perché? Per Orfei non c'è un solo perché, ma sottolinea come all'ombra della Chiesa quei cattolici, in anni di rendita di posizione e di un pragmatismo più prossimo al potere che ad altro, abbiano affievolito fino a mettere in sonno la tipica tensione cattolica - un po' morale e un po' di fede - verso un progetto sociale. Un affievolimento che ha allentato anche quella fondamentale «distinzione» tra sfera politica e sfera religiosa aprendo così le porte all'integralismo e al relativismo di oggi.

In tutto questo Orfei non nasconde anche le responsabilità di una chiesa - intesa come gerarchia - che per mantenere e difendere le proprie posizioni non ha esitato a ricorrere, anche se in forme nuove, a definizioni culturali che mettono in secondo piano tutto ciò che è civile, rivalutando quell'individualismo esasperato dei cattolici verso lo Stato e il senso dello Stato. Un processo, di segno clericale, che si è aggravato con la caduta della Democrazia Cristiana perché con tutti i suoi difetti riusciva a fare da argine al clericalismo che oggi riemerge quasi trionfante.

Una caduta senza speranza? No, per Orfei si intravvedono segni di concreta speranza sia sul versante ecclesiale che su quello civile: fenomeno ancora minoritario ma che rivela che è «in corso un grande processo di riordinamento morale fondato su una teologia già affermata come dottrina morale per la politica e la società«'. Tema forte che spinge in questa direzione è individuato in quello della pace. E qui Orfei rivela tutta la sua sensibilità ad un argomento che lo ha visto appassionato testimone negli anni passati, dai tempi in cui fu vicino a Giuseppe Cazzati per arrivare dopo anni di giornalismo alla politica più attiva come consigliere di problemi internazionali di Ciriaco De Mita ai tempi della sua segreteria Dc. E Orfei ripropone la sua raffinata analisi della guerra e della politica di armamento che sul versante religioso è letta come «antigenesi» cioè come la più radicale e inedita opposizione a Dio e al suo progetto di vita.

Quale conclusione offre Orfei? Spiega che «la domanda adesso è 'i cattolici, come grande gruppo, hanno un significato nella vita storico-temporale? come gruppo hanno un futuro da proporre?».

Meglio: «I cristiani, che sono partecipi di una comune fede nel destino dell'uomo, hanno una radice nella storia tanto da potere dare un senso al suo sviluppo?». «La nostra risposta è affermativa - scrive Orfei - ed è un presupposto, sia pure generico. I cattolici si propongono nella storia non come espressione religiosa-sacrale, bensì come popolo di Dio, religiosa-laicale, che vive una dimensione spirituale e culturale che decide 'in qualche modo' anche quella temporale». «Si comincia - sottolinea Orfei - con un paradosso. E' l'affermazione di una laicità che insiste sulla libertà di coscienza quale ultimo foro per ogni decisione morale. Essa convive col dato (la 'cosa') della relazione sociale che implica mutualità e solidarietà».