26 aprile 2024
Aggiornato 07:00
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Referendum: il patto di Arcore Berlusconi-Bossi a prova del voto

Nel Pdl nessuna campagna, anche ex An si sono limitati ad annunci

ROMA - Se il patto di Arcore reggerà alla prove delle urne, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi lo scopriranno solo la sera del 22 giugno. Se il centrodestra conquisterà un buon numero di amministrazioni e il quorum per i quesiti del referendum non verrà raggiunto, il Cavaliere e il senatùr avranno raggiunto l'obiettivo prefissato nell'ultima cena di Arcore.

Patto rinsaldato dopo la denuncia di Berlusconi di un «piano eversivo» per sostituire il suo governo con un esecutivo tecnico: la Lega ha fatto quadrato intorno al premier, ergendosi a difesa della volontà popolare espressa nelle urne ad aprile del 2008.

E sì che il terreno referendario si presentava scivoloso per il premier, che per settimane ha camminato sul filo: da un lato l'interesse diretto del Pdl, nettamente primo partito in Italia, che con la legge elettorale frutto del referendum potrebbe puntare da solo al 55% dei seggi; dall'altro, l'interesse a conservare l'alleanza con la Lega, comunque decisiva per la guida delle amministrazioni locali del nord. Berlusconi riconosce che sarebbe «masochista», per un pidiellino, non votare sì al referendum, e tuttavia ha ceduto alla Lega sia sulla data della consultazione (relegata insieme al secondo turno delle amministrative invece che con le Europee) sia sul sostanziale boicottaggio dei tre quesiti, con la promessa fatta allo stato maggiore leghista: nessun impegno diretto. In cambio, il Carroccio è arruolato e combatte (fino a prova contraria) per sostenere il Popolo delle libertà ai ballottaggi, con la speranza di espugnare o almeno ben figurare in alcune delle roccaforti rosse dove non è bastato il primo turno per confermare le giunte di centrosinistra uscenti.

Molto si giocherà alla provincia di Milano, dove il voto 'verde' conta, ma dove Filippo Penati già cinque anni fa ha sorpreso tutti vincendo il ballottaggio. Ma Berlusconi spera di ottenere quante più amministrazioni possibili per bilanciare il risultato alle Europee, sotto le aspettative create dallo stesso premier nei giorni precedenti il voto.

Da un lato allora il centrodestra deve riuscire a motivare i propri elettori per il secondo turno, quando l'astensionismo ha storicamente privilegiato lo schieramento opposto. Dall'altro bisogna riuscire ad onorare il patto con la Lega facendo fallire il quorum al referendum. Per fare questo il presidente del Consiglio ha convinto molti referendari della prima ora a non spendersi più di tanto per la causa di Segni&Guzzetta. Così, nel Pdl, l'ala aennina annuncia il proprio voto favorevole ma non scende in piazza come fece per la raccolta delle firme. E il pronunciamento di Gianfranco Fini non basterà probabilmente da solo a far raggiungere il quorum. Visto che dall'altro lato è stato deciso l'intervento del leghista Roberto Maroni, che ha sfruttato la poltrona di ministro dell'Interno per rendere chiare le tecnicalità che consentiranno agli elettori del centrodestra di votare per i ballottaggi senza contribuire al tempo stesso ad alzare il quorum del referendum.