23 agosto 2025
Aggiornato 08:00
Incentivare i metodi alternativi alla ricerca su animali

Scimmie GM che si ammalano di malattie uomo (Giappone)

LAV: alto indice fallimentare delle sperimentazioni su ogm, vane speranze per i malati

All’università di Keio (Giappone) uno studio riporta procedure altamente invasive su primati non umani modificati geneticamente nei quali è stato introdotto un gene delle meduse allo stadio embrionale per farle brillare alla luce ultravioletta promettendo che tale capacità di mutazione genica possa far avanzare la comprensione e le terapie di patologie incurabili.

«Al di là delle ovvie implicazioni etiche, la capacità di inserire geni nel corredo genetico delle scimmie non garantisce alcuna applicabilità per lo studio delle malattie umane, soprattutto in considerazione dell’alto indice fallimentare delle sperimentazioni su OGM e delle procedure legate a ricerche in campo neurologicodichiara Michela Kuan, biologa e responsabile LAV settore vivisezione - Le Neuroscienze sono, infatti, l’area di studio più contraddittoria e aberrante della sperimentazione, dove l’animale è considerato un ottimo strumento di ricerca per la sua ‘somiglianza’ con l’uomo, ma questa stessa caratteristica non viene presa in considerazione quando si tratta di valutare la sua percezione della sofferenza, subendo indescrivibili torture fisiche e violenze psicologiche, pur sapendo come la comprensione del funzionamento del cervello, a livello clinico e sperimentale si basi sul colloquio con i pazienti e sull’anamnesi, cosa non riproducibile su altri animali.»

Basti citare come di 749 esperimenti, che hanno comportato l’utilizzo di scimpanzé (oltretutto geneticamente più vicino alla specie usata dai ricercatori giapponesi), il 49.5% non abbia ricevuto alcuna citazione in letteratura scientifica e il 38.5% non abbia ottenuto dati utili per il campo umano (Bailey, Balcombe, Knight et al, 2007).

Invece, passi avanti nella comprensione e cura di malattie neuronali sono stati fatti grazie a studi epidemiologici eseguiti su volontari ammalati e grazie a indagini molecolari con avanzati software, che hanno dimostrato anche la stretta correlazione tra l’insorgenza del diabete e dell’alzheimer e fornito nuove informazioni globali sulle reti integrate identificando  aree di rilevanza inaspettata.

«L’esperimento condotto in Giappone non solo crea false speranze per i malati basandosi su una limitata e non verificata tecnica sperimentale, ma si pone in un ottica scientifica retrograda che dovrebbe lasciare spazio a innovativi ed etici metodi alternativi alla sperimentazione animale anche in vista della posizione presa a livello europeo, che vede il mondo scientifico e politico fortemente a favore della sostituzione dei primati nella ricerca.», conclude Michela Kuan.