29 marzo 2024
Aggiornato 08:00
Si sprecano commenti sul discorso pronunciato dal neo-presidente americano Barack Obama

Obama una Speranza? Anticipiamolo! - di Sandro Bondi

Quello che vorremmo fare in questa sede è uscire dal rumore di fondo che accompagna l’ascesa di un Presidente

Come era facile da prevedere, oggi si sprecano commenti d segno diverso sul discorso pronunciato dal neo-presidente americano Barack Obama in occasione del suo giuramento. Qualcuno è deluso, qualcuno si distingue per retorica, qualcuno è tentato dall’agiografia e forse ha scambiato Obama per il Messia. Quello che vorremmo fare in questa sede è uscire dal rumore di fondo che accompagna l’ascesa di un Presidente che, va detto, affascina l’opinione pubblica ma crea qualche perplessità o difficoltà di lettura sul piano simbolico.

Infatti, uno dei motivi per cui ci si interroga tanto sulle sue intenzioni non dipende solo dalle parole che pronuncia, ma anche dal fatto che Obama porta in sé molti simboli di novità, primo fra tutti il riscatto degli afroamericani in un Paese dove sono stati a lungo schiavizzati e penalizzati, ma anche una continuità politica evidente con il passato. È un tipico «prodotto americano», Barack. Si esprime in modo tipicamente americano. Sinora è stato esaltato, giustamente, come un grande trascinatore e un oratore che coinvolge e dà speranza. Tutti fattori positivi. È anche vero che ieri, all’insediamento, forse il neo-presidente non ha dato il meglio di sé, è stato un po’ troppo prevedibile, non ha dato alcune risposte o indicazioni che in molti si sarebbero aspettati su quello che sarà il suo percorso politico.

Così, alla fine, della giornata – storica – appena trascorsa, l’immagine più bella, solare e piena di speranza che ci resta è quella di una folla percorsa da fremiti di speranza. Sono i volti dei milioni di telespettatori che hanno seguito il discorso, e che possiamo immaginare pervasi dalla stessa voglia di voltare pagina rispetto a un presente difficile e complesso. Questo discorso può essere allargato e riportato alla situazione italiana. In questi giorni, di fronte a dati economici negativi e alle incertezze sul futuro, si discute molto di ottimismo, pessimismo, si assiste ai soliti litigi «ideologici». Ecco, io credo che sarebbe giusto ricordare che gli italiani, pur essendo portati al lamento e dotati di grande verve polemica, sono un popolo che ha sempre dimostrato grandi capacità di reazione anche e soprattutto nei momenti più complessi della loro storia. Non siamo un popolo di pessimisti. Semmai siamo, far gli europei, i più «fatalisti»: ma è un fatalismo costruttivo, positivo, che ci porta ad accettare le difficoltà e a rimboccarci le maniche per superarle. Per questo, volendo offrire un piccolo consiglio di comunicazione, si può dire che forse è fuorviante continuare a discutere in termini ottimismo e pessimismo, parole che possono indurre polemiche vacue e inutili. Ciò che davvero ci serve, la via da indicare a noi stessi e ai cittadini, è piuttosto racchiusa in tre concetti: impegno comune, fiducia, solidarietà sociale. Questa è la strada da seguire.

Obama Barack è una speranza per il mondo. Nell’attesa e con l’auspicio che la fiducia in lui si riveli ben riposta, permettiamoci una piccola «provocazione» costruttiva: e se mentre aspettiamo provassimo ad «anticiparlo»? Magari proprio sui temi della riorganizzazione della finanza e dell’economia mondiali, a partire dalla necessità di ridare fiducia alle imprese di un occidente i cui Paesi si trovano ad affrontare tutti insieme una prova decisiva. E più sapranno farlo con coesione, più sarà facile e veloce la risalita. Perché non può essere l’Italia, con il suo ministro dell’Economia, a indicare una strada percorribile, a rilanciare una proposta concreta? Giulio Tremonti, negli anni passati, è stato buon profeta di certi meccanismi e ha denunciato con largo anticipo i rischi insiti nella «finanza allegra» e in una globalizzazione troppo rapida e senza controllo. Ora che è arrivato il momento di fare i conti con gli errori commessi sul piano internazionale, dunque, le proposte di chi ha dimostrato intelligenza e lungimiranza nell’interpretazione di dinamiche macroeconomiche dovrebbero diventare, per noi, una stella polare. E la nostra struttura industriale, più veloce, fantasiosa e adattabile di altre, in questo frangente anziché penalizzarci potrebbe essere la nostra più grande risorsa e un esempio per tutti. Sono solo alcuni spunti per chi non vuole solo aspettare gli eventi o le mosse di Obama, ma sogna un’Italia protagonista sin da subito.