19 aprile 2024
Aggiornato 03:00
Emergenza maltempo

«La messa in sicurezza del territorio è la più grande opera pubblica da fare»

Legambiente: «La Protezione civile esempio di efficienza ma non può fare miracoli, servono interventi strutturali»

«Abbiamo un ottimo sistema di Protezione Civile ma è fin troppo evidente che non possiamo continuare ad aspettare di arrivare all’emergenza per intervenire contando solo su questa grande risorsa. Il cambiamento del clima ci porterà ad affrontare sempre più spesso eventi metereologici imprevisti ed estremi per questo dobbiamo considerare il governo del territorio la più urgente opera pubblica da fare con interventi strutturali e investimenti all’altezza della situazione in cui versa il Paese».

Così il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza commenta l’ondata di maltempo che ha investito l’Italia causando vittime, ingenti danni e gravi disagi soprattutto nella Capitale dove è ancora alta l’allerta per le condizioni del Tevere.

«Il rischio frane e alluvioni interessa il 70% dei comuni italiani, praticamente quasi tutto il territorio nazionale – ha proseguito Cogliati Dezza - ma a guardare i dati che ogni anno raccogliamo dai comuni più esposti al pericolo, ci troviamo di fronte a un quadro disastroso: il 77% dei comuni dichiara di avere abitazioni in zone a rischio, il 30% ha addirittura in queste aree interi quartieri e oltre la metà fabbricati industriali. Ma più preoccupante è che questi comuni non investono abbastanza sulla manutenzione e solo il 37% realizza opere di prevenzione e messa in sicurezza».

Secondo l’indagine Ecosistema Rischio 2008 la maggior parte dei comuni più a rischio risulta pronto ad affrontare l’emergenza (l’82% dei comuni ha un piano d’intervento) ma ancora nel 42% non viene realizzata una manutenzione ordinaria delle sponde dei fiumi e il 63% è in forte ritardo nella prevenzione. Ci sono amministrazioni poi che addirittura non fanno nulla per la sicurezza del territorio (24%) e pochi (5%) quelli che svolgono attività di delocalizzazione (l’abbattimento degli edifici presenti nelle aree più a rischio e la ricostruzione delle strutture in zone sicure), solo il 4% lo fa per i fabbricati industriali.

«In nostri volontari sono oggi insieme a quelli della Protezione civile per dare il loro contributo in questo difficile momento – ha aggiunto Cogliati Dezza - ma l’Italia deve decidersi a puntare sulla prevenzione. Da troppo tempo gli amministratori sottovalutano il rischio idrogeologico e investono pochissimo sulla manutenzione dei corsi d’acqua e la situazione è aggravata dall’abusivismo, dall’urbanizzazione irrazionale, dal disboscamento dei versanti oltre che dall’ormai evidente mutamento climatico. Mitigare il dissesto idrogeologico significa innescare un percorso virtuoso anche per l’economia perché considerando i danni, costa meno prevenire che curare. I comuni inizino quindi a delocalizzare le abitazioni, gli insediamenti industriali, le attività agricole e zootecniche nelle aree a rischio realizzando un piano straordinario di manutenzione di fossi e fiumi e adeguando le reti fognarie».